Nell’articolo Il Teatro nel Cinquecento abbiamo visitato le corti rinascimentali e assaporato la moltitudine di forme spettacolari che i Principi sapevano regalare agli invitati. Riprendiamo il nostro viaggio per poter analizzare da vicino le caratteristiche di un particolare e innovativo modo di far teatro che germoglia nella seconda metà del XVI secolo e rimane popolare fino alla metà del 1700. In questo articolo andremo a scoprire le caratteristiche e le maschere della Commedia dell’Arte.
Cos’è la Commedia dell’Arte?
Per avere una definizione delle caratteristiche della Commedia dell’arte in quanto tale dobbiamo attendere il 1750 quando Carlo Goldoni, nell’opera Il teatro comico, individua con questo termine gli attori che recitano “le commedie dell’arte utilizzando maschere e improvvisando le parti”, laddove il termine Arte, rimandando alle Arti e Corporazioni del Medioevo significava artigianato, mestiere, professione.
Quando Carlo Goldoni scrive la sua opera siamo ormai arrivati al tramonto della stagione della Commedia. Lo scrittore è nel pieno della riforma del teatro di fine Settecento, alla ricerca di un rinnovamento che punti alla verosimiglianza. Aspira alla rappresentazione dei sentimenti che negli anni a venire caratterizzeranno il dramma borghese e alla necessità di fornire agli attori un copione interamente scritto e non più improvvisato.
Ma prima di allora il teatro verrà attraversato da quasi due secoli di Commedia dell’Arte che tanta fortuna avrà in Italia e in seguito in Francia e che anche ai giorni nostri non tralascerà di influenzare artisti del calibro di Strehler e Dario Fo.
La nascita della Commedia dell’Arte
Mentre nelle piazze saltimbanchi, mimi, cantastorie, giullari, ciarlatani si esibivano nella speranza di racimolare monete, alcuni artisti assennati decidono di fare delle proprie conoscenze artistiche – poetiche, declamatorie, musicali – un vero e proprio mestiere.
È così che il 25 Febbraio 1545 otto uomini si presentano davanti ad un notaio di Padova e stipulano un contratto.
Nel documento si legge che questi artisti hanno deciso di costituirsi in una sorta di società, per “recitar commedie di loco in loco per cercare un pubblico sempre nuovo” con lo scopo di “guadagnar denaro che divideranno in parti uguali”.
E c’è di più: il contratto durerà un anno, compreranno un cavallo per trasportare costumi e attrezzi di scena e si daranno assistenza in caso di incidenti o malattie.
C’è molto senso pratico borghese nella scrittura di questo contratto. Lo spirito cittadino, laico che prende il sopravvento rispetto a quello religioso permette in questa occasione di far nascere una nuova professione.
Nello spirito medievale delle Arti e Mestieri vicino ai fabbri, ai macellai, ai calzolai, anche quello del teatrante verrà riconosciuto come un vero e proprio mestiere!
Non tutti però possono fregiarsi del titolo: solo le compagnie che da quel lontano Febbraio di metà Cinquecento istituiscono un proprio statuto di leggi e regole e vengono riconosciute dai ducati, possono fregiarsi del titolo di professionista del teatro.
Gli artisti che compongono le nascenti Compagnie hanno alle spalle un buon addestramento tecnico vocale, mimico, acrobatico e hanno una buona preparazione culturale e letteraria.
Tutti gli altri rimarranno semplici compagnie amatoriali o in senso non poco spregiativo “ruba piazze”.
Viene posta una pietra miliare per la nascita della moderna industria dello spettacolo. Da qui in avanti in Italia, in Europa, nel mondo vengono prodotti spettacoli per un pubblico pagante che decide di propria iniziativa di sedersi in sala, riconoscendo il lavoro dell’attore come una vera e propria professione.
Appurato che “qui si fa sul serio” e che “non siamo dilettanti allo sbaraglio” siamo pronti ad aprire il baule dei Comici dell’Arte alla scoperta delle innovazioni da loro introdotte.
Il loro lavoro darà vita, non tanto a un nuovo genere teatrale, ma a una vera e propria differente modalità di produzione degli spettacoli.
La Donna attrice
Elemento di portata rivoluzionaria fu, intorno al 1570, l’introduzione della donna-attrice.
In totale rottura con il passato, in cui i ruoli femminili erano interpretati da uomini e fanciulli, ci troviamo di fronte ad un primo traguardo di emancipazione storica della donna.
In una società che fino a quel momento risultava sostanzialmente patriarcale, donne provviste di una certa cultura e di spiccate doti artistiche si uniscono ai professionisti del palco.
Una vera e propria rottura con le prostitute d’alto bordo che tanto erano malviste dall’ambiente ecclesiastico perché “se la passano in travagliosa vita, guadagnando il vitto co’ quotidiani sudori e con gli stenti”.
Il desiderio di riscatto dei Comici rispetto ai giullari di strada va così di pari passo con la volontà di queste donne di ritagliarsi un posto di rilievo nella società del tempo.
Non che manchino le accuse da parte della Chiesa che, non sapendo più da che parte attaccare i nuovi professionisti, punta il dito contro l’esibizione del corpo femminile per ingrossare le casse delle Compagnie.
La presenza della donna diventa inoltre un modo per attaccare non ciò che viene rappresentato sul palco, ma ciò che avviene – o meglio, potrebbe avvenire – dietro le quinte. Una promiscuità che rende tutti gli attori esseri spregevoli e non meritevoli di riconoscimenti e attenzione.
Ma abbiamo visto come i Comici dell’Arte si approccino in un modo nuovo all’arte e alla vita restando fedeli ai propri principi di libertà e condivisione dei loro obiettivi artistici.
Da ora in avanti le Compagnie nascenti si comporranno all’incirca di dieci elementi, includendo almeno due donne nel gruppo.
Un nome tra tutte le donne che hanno preso parte a questa grande stagione teatrale è quello di Isabella Andreani (1562-1604), moglie del Comico Francesco Andreani, famosa in Italia e in Europa per le sue composizioni in versi e in prosa e la spiccata capacità interpretativa.
I luoghi della Commedia dell’Arte
Una volta formata una Compagnia, dove si esibivano gli attori?
Evoluzione degli artisti girovaghi, i Comici dell’arte si esibiscono inizialmente nelle piazze cittadine, con scenografie molto semplici con due quinte praticabili sullo stile delle prime commedie del Cinquecento.
Il desiderio di emancipazione portò velocemente alla costruzione in molte città italiane di spazi teatrali dedicati espressamente a questo nuovo modo di fare teatro.
Accanto alle sale spettacolo dei palazzi ducali in cui un pubblico selezionato accedeva solo se invitato, iniziano a fiorire i primi teatri a pagamento aperti ad un pubblico variegato appartenente alle diverse classi sociali.
A cavallo tra Cinquecento e Seicento anche in Inghilterra incontriamo un pubblico variegato che paga per assistere agli spettacoli: pagando un solo penny i popolani assistono restando in piedi, nell’area che circonda il palco. Borghesi e aristocratici pagando un prezzo più elevato siedono comodamente in alto nei palchetti.
A Venezia sorgono diverse Stanze fatte costruire dalle famiglie più influenti per cercare di accaparrarsi gli spettacoli delle più importanti Fraternal Compagnie che si costituiscono in quegli anni.
È del 1637 il primo teatro pubblico italiano, edificato nella contrada San Cassian per volere della famiglia Tron. Sarà un fiorire di sale teatrali che daranno lustro alle più svariate famiglie alto borghesi dell’ambiente veneziano. Come avveniva per i grandiosi eventi organizzati dai Principi, anche adesso edificare spazi teatrali diventerà sinonimo di ricchezza e magnificenza nel segno di un crescente arricchimento delle città italiane.
Prima della nascita dei maestosi teatri all’italiana, quelli che sorgono in questo periodo sono ambienti piccoli, raccolti. Gli attori dovendo quindi esibirsi in sale con pochi posti disponibili, da una parte si organizzano per ampliare il proprio repertorio e non far stancare gli spettatori abituali, dall’altra diventano veri e propri girovaghi alla ricerca di un pubblico sempre nuovo.
In questi viaggi vengono sostenuti da un intermediario tra la compagnia e i proprietari delle varie sale in cui andranno ad esibirsi, un germoglio di quello che sarebbe diventato nel tempo l’impresario o il manager teatrale.
Il mondo del professionismo teatrale sta prendendo forma e d’ora in avanti tutti potranno partecipare ai proventi di questa realtà!
Canovacci e Improvvisazione
Quale è l’ingrediente segreto che permette ai Comici dell’Arte di diventare così famosi da essere ricercati ed acclamati dentro e fuori l’Italia riuscendo a convincere il pubblico a pagare per poter assistere alle loro rappresentazioni?
Pur non rispettando le canoniche unità aristoteliche di tempo, spazio e azione e ampliando gli intrighi amorosi, i Comici dell’Arte portano in scena le storie raccontate nelle commedie d’intreccio di Plauto e Terenzio o di autori contemporanei quali Ariosto e Machiavelli, conosciuti a quella parte di pubblico che frequentava le corti dei Principi e che catturava l’interesse del popolo nelle piazze.
Certi di essersi guadagnati l’attenzione, ben presto i nascenti professionisti dell’arte attoriale si scostano dai modelli pronti e confezionati per apporre il loro marchio di fabbrica.
Ecco nascere la Commedia a soggetto – altro nome con cui diviene nota la Commedia dell’Arte – il cui tratto fondamentale è l’improvvisazione.
Attenzione però! L’improvvisazione non va intesa in senso stretto.
Gli attori non recitano “a braccio”, in maniera totalmente spontanea ma sottostanno ad una tecnica consapevole e ben studiata, frutto di anni di allenamento.
Ogni attore può contare su quelle che diventeranno tra le principali caratteristiche della Commedia dell’Arte:
- Il Ruolo fisso. L’Innamorato, il servo, il Capitano, una specializzazione che l’artista sceglie praticamente per tutta la sua carriera, con il vantaggio di una resa artistica più sicura.
- L’uso dei Generici. Un bagaglio di battute, chiuse, lazzi comici, monologhi, tormentoni che vengono mandati a memoria e che si adattano con poche varianti alle varie commedie. Il già citato Francesco Andreani nel 1607 dette alle stampe Le bravure del Capitano Spavento, una raccolta dei generici da lui creati e utilizzati per il ruolo fisso del Capitano da lui interpretato per tutta la carriera.
- Il Canovaccio. Detti anche scenari, soggetti o favole rappresentative. Proprio come lo strofinaccio da cucina in tela di canapa a trama molto rada da cui prendono il nome, i canovacci sostituiscono il testo, riportando un riassunto dell’intreccio a grandi linee, indicando le scene, gli oggetti utili e i personaggi che prendono parte alla vicenda ma evitando di riportare le battute, lasciate all’improvvisazione degli attori.
La composizione di questi scenari diventa un vero e proprio banco di prova per molti talentuosi artisti che oltre a recitare si impegnano anche come scrittori per la scena.
Numerosi sono i canovacci tramandati nel tempo e quando gli artisti non trovano da soli idee per nuove storie ingaggiano collaboratori dall’esterno.
Carlo Goldoni si avvicinerà al mondo del teatro proprio come poeta di Compagnia, toccando da vicino un mondo che necessitava ormai una decisa aria di cambiamento.
L’esistenza dei canovacci non è una totale novità. Nelle opere del primo Cinquecento non esisteva un testo unitario. Ogni attore riceveva solo la propria parte, con l’aggiunta dell’ultima battuta dell’interlocutore – parte levata o scannata – un sistema economico per non ricopiare tutto il testo che si ricomponeva solo durante lo spettacolo.
L’abilità dell’attore, che costituisce la vera sostanza del teatro all’improvviso sta nel saper inserire i propri generici nel tempo e nel luogo opportuno suggerito dal canovaccio per cucirlo come un abito elegante nello svolgimento della commedia.
Il grandissimo Dario Fo ci ha regalato molti esempi di teatro d’improvvisazione. Mistero buffo, giullarata popolare capolavoro del 1969 è un insieme di storie ispirate ai racconti di Gesù in cui l’attore recita in una lingua reinventata e fortemente onomatopeica, il grammelot. Mescolando frasi improvvisate prive di senso a selezionate e ben distinte parole in dialetto padano compone uno spettacolo che tiene il pubblico incollato alle sedie in un grande coinvolgimento comico.
Al giorno d’oggi esistono vere e proprie scuole di improvvisazione teatrale, i cui allievi si costruiscono un bagaglio tecnico ricco di spunti e trovate comiche – eh sì, sono proprio i generici dei Comici dell’Arte! – da sfruttare nei match con altri gruppi di improvvisazione per dar vita a spettacoli esilaranti!
Le Maschere della Commedia dell’Arte
Al di là della capacità di improvvisazione, la più coinvolgente delle caratteristiche della Commedia dell’Arte che attrae grandi e piccini rimane senza dubbio l’uso della maschera.
Protagoniste del folklore e del Carnevale, le maschere della commedia dell’arte catturano l’attenzione del nuovo pubblico popolare.
Il volto coperto permette agli attori di puntare sulla gestualità e sulla valorizzazione del corpo, ricorrendo a spettacolari capriole, salti e balletti che lasciano tutti a bocca aperta.
La fissità delle maschere della commedia dell’arte si rispecchia nella fissità dei ruoli che vengono portati sulla scena.
Derivati da Plauto e Terenzio e riproposti successivamente nelle vicende del primo Cinquecento, i tipi generici del vecchio sciocco, del servo furbo, del soldato vanaglorioso e dell’innamorato che si adattano alle diverse commedie, si cristallizzano in personaggi che da ora in avanti ritornano sempre uguali a loro stessi in ogni commedia con un nome proprio subito riconoscibile dal pubblico: le Maschere della Commedia dell’Arte.
Come hai già letto poco sopra questi personaggi permettono agli attori di specializzarsi in un unico ruolo, studiandolo e valorizzandolo al meglio per tutta la vita con le giuste sfumature e divertenti battute che diventano veri e propri tormentoni .
Nella moltitudine di maschere della Commedia dell’Arte troviamo diversi personaggi ricorrenti noti al pubblico di allora ma anche a quello dei giorni nostri e Andrea Perrucci nel libro Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso, pubblicato a Napoli nel 1699 descrive quali sono le principali.
- Pantalone, il mercante veneziano che si rende ridicolo per i suoi desideri sessuali che contrastano fortemente con la sua vecchiaia
- Graziano, il dottore che ricorre ad un linguaggio pomposo un po’ latino e un po’ bolognese
- I Giovani Innamorati, che si esprimono in una impeccabile parlata italiana, sempre in contrasto con i vecchi e aiutati dai loro servi
- I Capitani, modellati sull’archetipo del Soldato Fanfarone di Plauto. Protagonisti di mille avventure che li portano in giro per il mondo rappresentano i rivali in amore che finiscono sempre scherniti, delusi e sbeffeggiati dagli Innamorati. Con nomi “paurosi” come Capitan Spaventa o Fracassa, si esprimono in maniera magniloquente, con vari dialetti o addirittura con accenti spagnoli, rappresentando una satira contro gli Spagnoli che si trovavano al potere in gran parte d’Italia.
- I Servi. Lo sciocco combina guai Arlecchino e l’alter ego astuto Brighella, che parlano in dialetto bergamasco. Pur non indossando sul volto una maschera al gruppo dei servi si aggiunge anche Colombina, l’astuta e scaltra cameriera fidanzata di Arlecchino.
Arlecchino e Brighella incarnano l’evoluzione della maschera dello Zanni, uno fra i personaggi più antichi che troviamo nelle dispute nelle piazze medievali e talvolta tra i diavoli delle sacre rappresentazioni.
Non a caso uno dei primi nomi con cui veniva denominata la Commedia dell’Arte era proprio “Commedia degli Zanni”. Il nome è la versione veneta di Gianni, nome diffuso tra i servitori dei nobili e dei mercanti e rappresentava in maniera generica la figura del villano spinto da passioni istintive e primordiali come la fame (caratteristica peculiare di Arlecchino). Indossava una semplice maschera di cuoio, un cappello con visiera lunga e un costume a falde larghe che ricordava l’abito dei contadini nei campi.
Con il definirsi della professione teatrale anche il personaggio dello Zanni sale di livello fino a sdoppiarsi nella figura del servo astuto e di quello sciocco, veri centri focali delle situazioni rappresentate, con nomi propri e caratteristiche subito riconoscibili.
Il linguaggio utilizzato, fatto di dialetti e parole inventate contribuisce senza dubbio a rendere gli spettacoli ancora più vari e coinvolgenti ed apre la via a molte città italiane nel dare vita a nuove maschere, con nomi propri e un abbigliamento che le caratterizza singolarmente, riproponendole durante il Carnevale o negli spettacoli di piazza delle marionette: nascono così Pulcinella a Napoli, Stenterello a Firenze, Gianduia a Torino e così via.
Arlecchino Pulcinella Colombina Pantalone Brighella Balanzone
Le caratteristiche della Commedia dell’arte in Francia
Nel periodo di maggiore splendore della Commedia non solo l’Italia viene invasa da questo fenomeno. Paesi europei subiscono il fascino e l’influsso di questi personaggi così particolari e innovativi.
È probabile che Shakespeare abbia attinto ad alcune caratteristiche della Commedia per tratteggiare alcuni dei suoi personaggi più divertenti e Molière stesso potrebbe essersi ispirato ai personaggi dei vecchi brontoloni per disegnare il suo Avaro.
Proprio in Francia sin dagli ultimi anni del Cinquecento gli attori italiani si esibiscono per i regnanti divenendo ben presto noti come Comediens du Roi – Commedianti del Re – godendo di protezione e riconoscimenti speciali.
Nel 1589 la Compagnia dei Gelosi è ingaggiata per i festeggiamenti del matrimonio di Ferdinando II de’ Medici con Cristina di Lorena e nel 1599 Enrico IV di Borbone e la sua sposa Maria de’ Medici richiedono a corte la presenza della Compagnia degli Accesi che facevano capo al Duca di Mantova.
Basta davvero poco e nel 1614 un gruppo di attori italiani si stabilisce in Francia prendendo in affitto per due mesi la sala dell’Hotel de Bougogne che diventerà in poco tempo il fulcro delle esibizioni della Commedia italiana, nome con cui da qui in avanti verrà riconosciuta la Commedia dell’Arte all’estero.
Per coinvolgere un pubblico sempre più entusiasta, gli artisti ormai diventati francesi a tutti gli effetti danno vita a nuove maschere della commedia dell’arte e inventano trame e canovacci completamente sconosciuti in Italia.
Ritenuti da Luigi XIV troppo volgari in alcune allusioni sessuali dirette alla consorte, sul finire del Seicento il Theatre de la comédie italienne venne chiuso e gli attori costretti ad andarsene, salvo però tornare nel 1716: il popolo amava talmente tanto le storie buffe e sregolate delle maschere da far riaprire le porte della sala teatrale.
Nonostante l’avvento della Rivoluzione francese il successo del teatro dei Comici non viene scalfito e continua a mietere successi fino all’avvento del Terrore, con i giacobini che fece sparire i festeggiamenti del Carnevale e le maschere per paura di attentati e spionaggio controrivoluzionario.
Nonostante un triste epilogo, anche in Francia come in Italia la Commedia dell’Arte riscuote enorme successo lasciando nelle generazioni future una grandiosa eredità. Ancora oggi la maschera di Pierrot, caratterizzata dallo sguardo triste e malinconico rivolto alla luna viene riproposto da mimi e artisti parigini.
La riforma del teatro di Goldoni
Verso la metà del Settecento la Commedia dell’Arte si avvia verso il declino, osteggiata dalla nascente aria di cambiamento che si respira nel teatro italiano.
Mentre il pubblico italiano continua a farsi coinvolgere dai lazzi e dalle acrobazie dei Comici, nel resto dell’Europa si inizia a respirare aria di novità.
Ricerca di naturalezza e verosimiglianza delle vicende, dei costumi, del contesto storico, unita allo scavo psicologico dei personaggi risveglia in Carlo Goldoni la necessità di una vera e propria riforma stilistica ed attoriale.
Procedendo per gradi Goldoni trasforma lentamente i canovacci in testi teatrali fatti e compiuti, da mandare a memoria senza lasciare più nulla all’improvvisazione.
Vengono eliminate le maschere della Commedia dell’arte e insieme a queste l’esasperazione dei gesti e dei movimenti per lasciare la giusta attenzione alla naturalezza dei personaggi.
Autori emergenti e attori si formano da ora in poi per far divertire gli spettatori ma ancora di più per colpirli con le personalità dei personaggi facendoli alzare dalle poltroncine dopo aver provato autentiche emozioni.
Se ti interessa approfondire la riforma del teatro di Goldoni, Rebecca ne ha parlato ampiamente nell’introduzione alle due raccolte di monologhi a lui dedicate della collana 10 Monologhi
L’eredità della Commedia dell’arte
Per noi che amiamo il teatro la Commedia dell’Arte rimarrà sempre una parentesi colorita, a tratti eccentrica, che pone per la prima volta la figura dell’attore nel novero dei professionisti del lavoro.
È grazie a questi attori che si formano in tempi così lontani da noi che possiamo, ancora oggi, fare di una passione un vero e proprio mestiere.
La prossima volta che vedrai una delle maschere della commedia dell’arte, come Arlecchino, Pulcinella o un’altra maschera durante una sfilata di Carnevale fai un gran sorriso e ringraziali per la meravigliosa eredità che ci hanno lasciato!