Bentrovati al nostro consueto appuntamento con la storia del teatro!
Ci stiamo rapidamente avvicinando al mondo moderno e al Novecento, in cui la nascita della regia teatrale e le irrequietudini che muovono gli animi di studiosi, attori, architetti, smuoveranno le acque nelle quali l’ambiente teatrale si stava ormai assestando.
Prima di arrivare ai giorni nostri dobbiamo però fare una sosta nell’Ottocento un secolo in cui, accanto al nascente dramma borghese che tanta fortuna avrà fino ai giorni nostri, vedrà esplodere in tutta la sua magnificenza l’opera lirica.
I GENERI TEATRALI DELL’OTTOCENTO
Gli spettatori non sono più invitati a corte da un Principe come nel Cinquecento. Quindi non sono più “obbligati” per etichetta ad assistere agli spettacoli.
Possono scegliere in completa autonomia di sedersi sulla poltroncina per la quale hanno acquistato un biglietto, in un secolo che presenta stimoli diversi.
Ecco che lo spettatore può assistere ad uno spettacolo scritto da Henrik Ibsen o da Anton Cechov, un dramma ambientato in un salotto dell’alta borghesia in cui i personaggi, grazie all’introduzione della simbolica quarta parete, lasciano il pubblico all’esterno della vicenda e consumano tra le mura domestiche le loro passioni e i loro drammi.
Sono vicende tormentate – Casa di bambola di Ibsen e Il gabbiano di Cechov sono solo due esempi – ma che proprio per la loro ambientazione permettono al pubblico che vi assiste di provare empatia per quei personaggi appartenenti alla loro stessa classe sociale.
D’altro canto, soprattutto in Italia e successivamente in altri Paesi europei, il pubblico ha la fortuna di poter decidere di acquistare un biglietto per un’opera lirica, conosciuta anche come melodramma o opera in musica.
Nell’articolo sulla nascita del teatro all’italiana abbiamo visto come il melodramma derivi dall’evoluzione degli intermezzi musicali che accompagnavano le rappresentazioni teatrali della fine del Cinquecento, fino a diventare un genere a se stante. Abbiamo scoperto anche che l’unione di musica e canto, di attori che interpretano un testo e di un’orchestra che accompagna la rappresentazione, trova il suo luogo ideale proprio nei teatri con platea e palchetti del Settecento in cui la voce dei cantanti arriva al pubblico con una forte risonanza.
L’OPERA LIRICA IN ITALIA
Germogliando già nelle corti principesche, inizialmente anche nei teatri del Settecento il melodramma viene considerato una semplice forma di intrattenimento. L’alta borghesia e i nobili trascorrono la giornata a teatro chiusi nei palchetti a mangiare, parlare e divertirsi. Prestando l’orecchio alla vicenda solo in alcuni momenti, quando un determinato passaggio musicale cattura la loro attenzione.
L’opera lirica si compone infatti di vari elementi, che si alternano tra loro nel corso di più atti:
- I Recitativi, ovvero parti narrate senza musica;
- Gli Intermezzi, esclusivamente musicali;
- Quartetti, duetti e in generale momenti in cui più cantanti si trovano a condividere un dialogo;
- I Cori, spesso composti da molti cantanti sulla scena con un effetto scenografico folgorante;
- Le Arie, momenti in cui la storia entra in un tempo sospeso e il personaggio da libero sfogo ai propri sentimenti.
Momenti di grande virtuosismo canoro, le arie rappresentano nel corso dell’opera un momento molto atteso dal pubblico (anche ai giorni nostri). Può capitare che l’interprete sia talmente bravo da far richiedere a gran voce un bis dell’esecuzione! La vicenda viene interrotta e con essa il coinvolgimento emotivo, ma una volta uscito dal teatro il pubblico ricorderà benissimo quel momento così emozionante.
Ci troviamo nell’ambito del belcanto, in cui viene esaltata la voce dei cantanti e la musica viene composta per mettersi al loro servizio.
Nell’Ottocento, con l’avvento del Romanticismo, le vicende portate sulla scena non vengono composte solo per fare da sottofondo ad una giornata di svago. Iniziano a porsi come modelli di comportamento, dando voce a sentimenti passionali e spesso contrastati.
In Italia si ha un vero e proprio fiorire di librettisti e compositori. Autori che con la loro penna e la loro musica hanno fatto arrivare fino ai giorni nostri capolavori indiscussi dell’opera lirica.
Gioachino Rossini (1792-1868), Vincenzo Bellini (1801-1835), Gaetano Donizetti (1797-1848), Giuseppe Verdi (1813-1901), Giacomo Puccini (1858-1924) compongono opere liriche che ancor oggi fanno battere il cuore a milioni di intenditori e semplici appassionati.
Le vicende cantate di Figaro, della Traviata, del Rigoletto, della Bohème, catturano il pubblico e lo tengono incollato alla poltroncina fino all’ultima nota, dando vita a passioni e storie d’amore che solitamente finiscono in tragedia ma che renderanno immortali i protagonisti.
In questo passaggio di testimone tra compositori, l’opera lirica si fa vicina ad un pubblico sempre più vasto. Dalle passioni d’amore aristocratiche di Bellini e Donizetti si arriva con Verdi ad una passione più battagliera, che coincide con una passione politica risorgimentale in un periodo storico in cui le masse venivano coinvolte verso l’unità politica. Fino ad arrivare a Puccini, i cui protagonisti della Bohème non appartengono più ai ranghi alti della società ma anzi sono artisti squattrinati ma innamorati della vita.
Nella sua evoluzione l’opera lirica diventa sempre più nazional-popolare arrivando ad abbracciare tutte le fasce della società, formando gli individui dall’Aristocrazia fino al popolo, verso una grande unificazione culturale.
Il grande successo dell’opera lirica italiana spinge altri Paesi a dare alla luce prodotti originali.
In Francia nascono così l’opéra-comique e il grand-opéra.
Nel primo genere assistiamo ad un’alternanza di dialoghi in prosa senza musica e parti musicate e cantate. I testi presentati sono a carattere comico e hanno un lieto fine. Il Grand-opéra presenta invece una vicenda che si snoda su quattro o cinque atti con l’impiego di un allestimento sfarzoso, una coreografia imponente e grandi scene di massa. La vicenda che accompagna la musica è romanzesca, di solito a tema storico o religioso.
RICHARD WAGNER
Il Romanticismo ottocentesco in Germania è vissuto all’insegna delle grandi passioni umane. Memore anche del movimento settecentesco dello Sturm und Drang (Tempesta ed impeto), che innalzava l’irrazionale contro al razionalismo illuministico.
Le passioni vengono vissute come una tempesta che squassa l’animo. Da qui diviene forte la sensibilità per l’interazione tra individuo e Natura, in una immedesimazione panica con gli elementi dell’Universo riscontrabili anche in quei miti e leggende nordiche che vengono prese a modello dagli artisti di questi anni.
Nella Germania di quegli anni nasce e vive Richard Wagner, il massimo autore di opere liriche tedesche.
Attratto sin da giovane dal teatro d’opera, dalla musica, dalla poesia, dalla filosofia, dalla politica, si forma da autodidatta e si dedica in tutto e per tutto alle sue composizioni scrivendo sia il testo che la musica. Oltre alle opere per il teatro scrive due saggi: L’opera d’arte dell’avvenire (1849) e Opera e dramma (1851), importanti manifesti del suo pensiero.
Nasce nel 1813 a Lipsia, proprio lo stesso anno in cui viene alla luce Giuseppe Verdi. Ma le strade battute dai due compositori saranno ben diverse.
Da una parte Giuseppe Verdi concepisce la musica come motore di amplificazione dei momenti emotivi che si condensano nelle arie esaminate poco fa.
La musica contribuisce a fermare il tempo della finzione, per sviluppare al massimo grado l’intensità dell’emozione che deve essere rappresentata in quel momento. Subito dopo la trama riprende dal punto in cui si era interrotta.
Ecco quindi che la linearità dell’opera si interrompe. Si spezza come un filo che viene teso e poi tagliato, perdendo parte del pathos che si era raggiunto fino a quel momento. In questo senso l’opera viene vista come una successione di momenti isolati tra loro, che vengono cuciti insieme da più o meno lunghi momenti musicali.
Tutto questo per Wagner è inconcepibile.
Egli definisce l’opera lirica tradizionale con il termine Oper, “un genere d’arte anti-naturale e di nessun valore”. Ritiene assolutamente inaccettabile la continua alternanza dei momenti di supremazia della musica sullo svolgimento del dramma e viceversa.
LA RIVOLUZIONE WAGNERIANA
Modificando alla base le strutture musicali dell’opera tradizionale, ciò a cui aspira Wagner è la realizzazione dell’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk o Won-ton-drama).
In essa, tutte la arti (musica, poesia, danza, pittura, scenografia, ecc…) devono fondersi.
Musica e dramma in particolare devono cooperare e compenetrarsi reciprocamente, in una continuità drammaturgica in cui la forma musicale che viene creata sia interamente modellata sulla scena rappresentata.
Ecco allora che Wagner elimina la struttura tradizionale dell’alternanza di recitativo e arie, creando un flusso musicale ininterrotto in cui l’azione drammatica si svolge senza alcun rallentamento. Nasce la melodia infinita, in cui l’orchestra avvolge lo spettatore in un’unica onda melodica che tutto racconta.
L’orchestra si amplia per numero di strumenti, permettendo evoluzioni timbriche e cromatiche mai pensate prima d’ora. Vengono introdotti nuovi strumenti – la wagnertube, la tuba, strumento musicale a fiato della famiglia dei corni. Si valorizza l’importanza di ottoni, corni, grancasse, strumenti meno utilizzati prima di allora.
L’innovativa melodia infinita viene realizzata grazie all’introduzione del Leitmotive, il motivo conduttore o tema musicale ricorrente. Brevi idee melodiche che si legano a particolari immagini, oggetti, personaggi, situazioni e che vengono riproposte – variamente elaborate – ogni volta che quella situazione o quel personaggio compare sulla scena o anche semplicemente viene nominato.
In questo susseguirsi ininterrotto di immagini e suoni lo spettatore vive una compenetrazione assoluta fra l’avvenimento scenico e quello sonoro. Come se entrasse a far parte di un legame primigenio con la vita e la Natura. Come chiudere gli occhi in un bosco e lasciarsi trasportare dai suoni della natura che ti circonda e diventare tutt’uno con Essa.
In fin dei conti l’intento di Wagner era davvero quello di trasportare il suo pubblico, e per esteso la società, in un contesto di ritualità collettiva in cui tutti venissero coinvolti in un grande rinnovamento spirituale. Per questo motivo, prendendo spunto dai suoi studi sul passato, il compositore tedesco sfrutta la forza simbolica del mito. Trae i soggetti delle sue opere totali dai miti e dalle leggende nordiche, dai cicli cavallereschi medievali, dalla Scandinavia arcaica.
Come già nel teatro dell’antica Grecia, il mito rivela la proprietà di simboleggiare concetti sempre validi che colpiscono la collettività.
Wagner attinge al mito, conferendogli un significato attuale, con l’intento di attribuire all’evento teatrale una funzione di rinnovamento sociale. Nello schema narrativo che propone, i protagonisti anelano al raggiungimento della redenzione attraverso un sacrificio d’amore. E questa redenzione porta ad una purificazione catartica, in cui la colpa originaria trova la sua completa assoluzione. E con i personaggi viene redenta anche la collettività.
Punta dell’icerberg di questo desiderio di collettività rituale era arrivare a costruire un luogo in cui tutto questo poteva accadere.
Fu così che grazie all’aiuto del re Ludwig II di Baviera, nel 1876 venne edificato il Teatro di Bayreuth in Baviera, il Festspielhaus, dedicato esclusivamente alla rappresentazione delle opere musicali di Wagner. Ancora oggi viene utilizzato per rappresentare le opere del compositore tedesco nell’annuale Festival di Bayreuth
Le caratteristiche principali del teatro sono:
- Assenza totale di palchetti. Nel segno della ritualità collettiva, Wagner decide di eliminare la divisione in palchi che corrisponde ad una divisione della società in base all’appartenenza ad un diverso ceto sociale.
- La forma che viene scelta per la sala è ripresa dall’antico teatro greco che della ritualità e della religiosità faceva uno dei suoi punti di forza.
- Buio in sala. Per la prima volta nella storia del teatro Wagner impone la totale oscurità in sala. Il pubblico che assiste allo spettacolo, o meglio all’opera d’arte totale, non deve subire distrazioni per poter essere trasportato nell’illusione di ciò che viene rappresentato sulla scena. Un vero smacco a ciò che accadeva fino a quel momento. Le persone andavano a teatro per vedere ma anche e soprattutto per farsi vedere; con Wagner ciò non sarà possibile. Il pubblico dovrà essere consapevole e cosciente di ciò che sta per fare: sedersi in sala ed assistere ad una messinscena.
- Golfo mistico. Per coinvolgere ancor di più lo spettatore e proiettarlo nel racconto viene eliminata alla vista la presenza dell’orchestra. Viene creata una buca tra la platea e il palcoscenico che fa letteralmente sprofondare la platea sotto ad una copertura, nascondendola così agli occhi di tutti. Perfino il direttore d’orchestra viene nascosto alla vista affinché i suoi movimenti non catturino l’attenzione di nessuno. La presenza della fossa permette inoltre un equilibrio perfetto tra la voce del cantante che si trova sul palco e la musica dell’orchestra che, racchiusa dalle pareti, viene riverberata in tutta la sala.
- Doppio proscenio. Davanti al proscenio sul quale prende vita la vicenda narrata ne viene costruito un altro in modo tale da dare l’impressione che il palcoscenico sia più lontano di quanto non sia realmente, allontanando ancora di più lo spettatore dalla finzione della scena.
Forse il desiderio di Wagner di creare una ritualità collettiva e condivisa non è poi così lontana dal realizzarsi. Tutti gli elementi che caratterizzano il suo teatro sono perfettamente in armonia tra loro e donano un’aura di sogno e magia a ciò che viene rappresentato.
Lo spettatore è trasportato in una dimensione altra, senza appigli ad una realtà borghese o da salotto e può raggiungere anche lui insieme ai personaggi la purificazione della sua anima.
Le opere di Wagner, rispondendo a precise volontà del suo autore, sono molto lunghe e difficili da seguire. Adattando la musica al testo scritto, naturalmente in tedesco, sono impossibili da tradurre per non perdere il significato di continuità e di totalità che egli stesso chiedeva al suo teatro. Resta il fatto che opere come la Tetralogia L’Anello del Nibelungo o Tristano e Isotta restano pagine fondamentali della musica operistica.