E’ coreografa, danzatrice e co-fondatrice, con Ivan Truol, della compagnia di danza contemporanea Atacama di Roma, sostenuta dal Mibact .
Teatro per Tutti approfondisce il rapporto tra danza e teatro con l’intervista alla danzatrice e coreografa Patrizia Cavola, di Atacama. Si tratta di una compagnia italo-cilena tra le più vivaci e innovative degli ultimi decenni.
È presente sulla scena da oltre vent’anni con produzioni e creazioni in ambito coreografico e di danza contemporanea, con particolare attenzione alla danza urbana e la partecipazione ai più importanti festival italiani, dal Festival Internazionale Fabbrica Europa Firenze al Festival Internazionale di danza per Strada e Danza-Architettura di Bologna.
In scena al Teatro Vascello di Roma, nei giorni scorsi, con gli spettacoli La danza della realtà e Altrove oltre il mondo che si interroga sulla realtà virtuale che ormai si sta sostituendo a quella reale, la compagnia ha sede nella capitale, dove dal 2009 è aperto il centro di formazione e produzione La Scatola dell’Arte.
Altrove oltre il mondo – photocredit Eleonora Maggioni
Atacama, il nome della compagnia ispirato al deserto del Cile come metafora della danza contemporanea negli anni ’90 in Italia
Come e quando è nata la vostra compagnia e perché la scelta del nome Atacama?
“Atacama è nata dall’incontro tra me, danzatrice, e Ivan Truol, attore e danzatore formatosi all’Universidad di Santiago del Cile.
Avevamo già collaborato a diversi progetti insieme, poi, nel 1997, l’idea di fondare una compagnia. Legalmente, Atacama nasce nel 1999, a Roma.
Atacama è il nome di un deserto del Cile, a cui siamo molto legati. Un luogo speciale, in cui le poche gocce che piovono una sola volta l’anno danno vita a un’ incantevole fioritura, tanto da sembrare un vero e proprio miracolo.
Noi come compagnia di danza contemporanea ci sentivamo proprio così, quando abbiamo iniziato, in mezzo ad un deserto, tanto era poco valorizzata all’epoca in Italia. E abbiamo adottato il nome come un augurio per la nostra avventura.
In quegli anni c’era spazio solo per la danza classica. Noi invece volevamo proporre la danza contemporanea ma soprattutto portarla fuori dai contesti tradizionali, dai teatri, e farla conoscere anche alla gente comune, come poi abbiamo fatto con vari progetti di danza urbana.
Uno dei nostri primi spettacoli, Lo sguardo rubato, del 1998, lo abbiamo co-prodotto con il Festival di danza urbana di Bologna, uno dei primi in Italia.
Di quest’opera abbiamo realizzato sia una parte teatrale, con quattro danz-attori, sia una parte di danza urbana.
Fare uscire la danza dai teatri e dalla patina di élite in cui era sempre stata avvolta è stato sicuramente un atto rivoluzionario. Lavorare nei contesti urbani (piazze, stazioni ferroviarie, strade, i cosiddetti non luoghi delle nostre città) ha fatto bene a noi come al pubblico, perché questo tipo di spettacolo rientra nell’ottica dell’ andare incontro alle persone e non il contrario come sempre avvenuto”.
La situazione oggi: scuole e festival per i giovani danzatori e validi coreografi
Oggi secondo te com’è la situazione?
“Sicuramente molto migliorata. Purtroppo, ancora rimangono criticità legate alla difficoltà di reperire finanziamenti. E scarseggiano politiche culturali che tengano in considerazione questo importante segmento artistico che è la danza contemporanea.
Certamente oggi i giovani che vogliono iniziare questo percorso hanno molte più opportunità a disposizione, con moltissime scuole valide e diversi festival nazionali. Inoltre si è sviluppato un intenso lavoro autoriale di coreografi, che ha dato vita a una rete di collaborazioni e produzioni veramente interessanti”.
“Danza e teatro sono discipline in dialogo costante, anche se con approcci differenti al corpo”
Che rapporto c’è tra danza e teatro? Sono complementari l’una all’altro oppure si tratta di qualcosa di più complesso?
“A noi piace molto lavorare con gli attori.
Danza e teatro sono discipline in dialogo costante anche se con approcci differenti al corpo.
La prima è concentrata sul lavoro fisico, nell’altro abbiamo piuttosto degli ‘atleti dell’anima’, che esprimono emozioni e sentimenti, mentre l’approccio al corpo è più inconsapevole.
Proprio per questo, lavorare con i danzatori può essere per gli attori di grande aiuto, così come per i danzatori il contatto con l’attore può migliorare la loro espressività.
C’è uno scambio reciproco.
Il lavoro coreografico, d’altra parte, è fatto di espressività. Si deve lavorare su più livelli.
La danza non può essere qualcosa di astratto, distante, inespressivo, costruito di soli movimenti e tecnicismi.
Noi vogliamo una danza che parli di temi importanti, che getti uno sguardo sull’uomo contemporaneo nella sua totalità, per questo il nostro lavoro è teatro a tutti gli effetti”.
La Scatola dell’Arte, un centro di produzione e formazione, ma anche uno spazio aperto
Parliamo del vostro centro di formazione La Scatola dell’Arte, a Roma, fondata nel 2009 . Come è strutturata e quali attività state portando avanti attualmente?
“La Scatola dell’Arte in realtà è un luogo aperto, dove sono in essere molte produzioni con coreografi dei quali ci interessa il percorso.
Pur non avendo finanziamenti specifici per ospitare residenze artistiche, da noi arrivano diverse compagnie sia teatrali che di danza per le prove. Organizziamo corsi sia di perfezionamento che laboratori aperti a tutti, sempre nell’ottica dell’incontro con le persone di cui ti dicevo.
Altro aspetto importante sono i festival di danza contemporanea.
Attualmente ne stiamo organizzando uno a Velletri, una città a 40 km da Roma, dal titolo Paesaggi del corpo. Si terrà dal 21 maggio al 16 luglio prossimi, in parte nei teatri, in parte delocalizzando la danza e ponendola a contatto con i beni culturali e naturalistici del territorio.
Si tratta di un evento finanziato dalla Regione Lazio che ci permette di portare il teatro e la danza anche nei luoghi più distanti e meno forniti di occasioni di incontro della provincia romana.
Al festival, che ha una connotazione internazionale e si articola in 10 giornate per un totale di 30 spettacoli, saranno ospitate compagnie provenienti da Spagna, Belgio, Corsica”. (per maggiori info sull’evento: www.paesaggidelcorpo.it)
La realtà del Cile, paese di origine e di formazione di Ivan Truol
Oltre a La Scatola dell’Arte voi avete insegnato anche all’A.I.A.D. Accademia Internazionale di Arte Drammatica Teatro Quirino Vittorio Gassman, alla Q Academy, all’Accademia Arte Drammatica Cassiopea e presso lo I.A.L.S. Istituto Addestramento Lavoratori dello spettacolo, poi in Cile. Cosa potete raccontarci di queste esperienze?
“Al Quirino il percorso è stato guidato da Ivan Truol che come ti dicevo, nasce come attore e poi come danzatore, mentre al Cassiopea abbiamo lavorato entrambi.
Riguardo il Cile, è senz’altro un Paese con una forte tradizione teatrale, in cui le università già da molto tempo prevedono anche facoltà legate alle discipline dello spettacolo, mentre noi abbiamo avuto per molto tempo solo realtà di nicchia come il Dams. Mentre alle superiori, solamente ora è stato inserito il liceo coreutico.
Loro, d’altra parte, possono contare esclusivamente su finanziamenti privati e questo penalizza sicuramente la possibilità di esprimersi da parte delle piccole compagnie”.
La danza della realtà e l’influenza del drammaturgo cileno Alejandro Jodorovsky
Parliamo ora de La danza della realtà spettacolo del 2020, che esprime in modo molto forte il vostro legame con il teatro, e di Altrove oltre il mondo, del 2022, che ha appena debuttato a Roma
“La danza della realtà di Atacama prende ispirazione dall’opera del drammaturgo cileno Alejandro Jodorovsky , in particolare alla sua raccolta di brevi scritti sul tema dell’uomo contemporaneo.
Nel 2020 abbiamo voluto riprendere questi temi che già avevamo affrontato nel precedente Galleggio, Annego, Galleggio, con un nuovo lavoro, quando poi è scoppiata la pandemia e abbiamo dovuto ripensare l’intero spettacolo.
E’ nato così, Altrove oltre il mondo, opera scaturita da un contesto di impossibilità del contatto fisico che ha posto temi che il mondo intero, il teatro in modo particolare, ha dovuto affrontare.
Il multitasking della società si è infatti arrestato di colpo. L’impossibilità del contatto ravvicinato tra persone ha favorito ancora di più il ricorso agli strumenti del mondo digitale. Questi sono subentrati in una fase delicata come aiuto e sostegno, dimostrandosi utilissimi.
Ma per quanto riguarda il teatro, per noi sono emersi due aspetti.
Il primo, che lo spettacolo in presenza è di fatto insostituibile.
Il secondo aspetto, legato al primo e che abbiamo voluto portare all’attenzione con il nostro spettacolo, è la nostra condizione attuale, che la pandemia ha accentuato ma di fatto già in essere da tempo.
Una condizione in cui le nostre vite sono esposte continuamente alle telecamere, a un occhio esterno che ci condiziona inconsciamente.
Perdiamo in spontaneità, posiamo in continuazione, ed è un’esposizione che non valorizza l’uomo, al contrario. Tanto che senza questa traccia di noi stessi nel mondo virtuale, di fatto, non esistiamo”.
Di qui probabilmente il titolo dello spettacolo, Altrove oltre il mondo. Si sta vivendo in questo altrove che di fatto, non è reale, per poter dimostrare di esistere.
A proposito delle vostre serate al Teatro Vascello di Roma dove i due spettacoli sono andati in scena dal 7 al 10 aprile scorsi, qual è la vostra impressione sul ritorno agli spettacoli dal vivo?
“Abbiamo avuto un riscontro positivo con teatri pieni per tutte e quattro le serate, anche se si toccava con mano la difficoltà del pubblico a tornare alla vita di prima, dopo due anni di intermittenza dovuta al Covid. Io però sono fiduciosa. Quest’esperienza ci ha comunque insegnato quanto il contatto umano sia vitale”.
Chi fa parte attualmente della compagnia?
“Oltre a Sergio De Vito, compositore col quale lavoriamo da anni, attualmente ci sono sei danzatori, due dei quali hanno partecipato alle nuove creazioni. Siamo favorevoli a collaborazioni di lunga durata anche per loro, sia per poter conoscere e valorizzare al meglio il loro talento, sia per una crescita come compagnia, come comunità”.
Cover: Patrizia Cavola e Ivan Truol in “Tu Mia” – photocredit Vanessa D’Orazi