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La musica nel teatro. Intervista a Eugenio Tassitano

La musica nel teatro. Intervista a Eugenio Tassitano

Indice dell'articolo

Foto di copertina: Roberto Scorta (c) 2016

Generalmente, quando assistiamo ad uno spettacolo teatrale, ciò a cui facciamo più attenzione sono gli attori, i costumi di scena e la scenografia. Molto raramente ci rendiamo conto che c’è anche un altro elemento che ci fa calare dentro la storia che viene raccontata in scena. Un elemento che non vediamo, ma che percepiamo senza neanche rendercene conto: La Musica.

L’aspetto musicale in teatro viene quindi ignorato da noi semplici spettatori.

Ma spesso viene trattato in modo sbrigativo anche dai critici teatrali, che nelle loro recensioni dimostrano di aver osservato e dato importanza alla recitazione, alla regia, agli elementi scenici e ai costumi… Ma raramente spendono lo stesso impegno sulle musiche degli spettacoli.

Perché la Musica viene trascurata da tutti?

Ma come mai la musica, in teatro, non se la fila nessuno? Come mai viene bistrattata da tutti? Mentre invece nel cinema le viene riconosciuta l’importanza che merita?

Per fare un esempio, fra le categorie del Premio Ubu soltanto nelle ultime due edizioni è stata inserita quella per il “Miglior progetto sonoro o musiche originali“.

Mentre, per più di 35 anni non è stato conferito nessun riconoscimento a questo aspetto fondamentale di uno spettacolo teatrale.

Alla fine, pur nella loro diversità, teatro e cinema non hanno lo stesso compito di raccontare delle storie? E queste storie, non sono ancora più belle e coinvolgenti se ad accompagnarle c’è della buona musica?

La risposta è Sì.

Per questo motivo nelle mie regie, fin dalle primissime esperienze, curo molto questo aspetto.

La musica è un linguaggio universale, che parla all’anima di ognuno di noi e perciò in uno spettacolo teatrale una musica scelta con cura può davvero fare la differenza.

Se scritta o scelta bene, può permettere allo spettatore di essere maggiormente coinvolto in quello che accade sul palco, aiutandolo a vivere quella determinata scena nel modo migliore possibile. Senza considerare che può aiutare molto anche gli interpreti sulla scena nel calarsi nei loro persoanggi.

Forse la penso in questo modo perché mi sono innamorata di un musicista (che tra le altre cose è colui a cui affido l’aspetto musicale delle mie messinscene.

E forse è anche grazie a lui che ho deciso di far quattro chiacchiere con Eugenio Tassitano, un compositore e musicista che lavora in ambito teatrale e cinematografico da molti anni e che ha avuto la pazienza di rispondere a tutte le mie domande.

Chi è Eugenio Tassitano?

Intervista a Eugenio Tassitano

Eugenio Tassitano è un compositore e autore di Reggio Calabria che fin da giovane ha coltivato un amore profondo per la musica.

Durante gli anni dell’adolescenza ha militato in diverse band reggine, fino al compimento dei diciotto anni, quando si trasferisce a Roma per studiare Legge.

Negli anni universitari la sua passione per la musica non si sopisce e infatti, proprio in quel periodo si iscrive alla Scuola Popolare di musica di Testaccio. Qui ha modo di ampliare le sue conoscenze con lo studio della teoria musicale e della chitarra jazz.

In un secondo momento approfondisce la composizione, l’orchestrazione e lo studio della musica applicata al teatro e al cinema, frequentando il corso di “Musica per film” della Scuola di Cinema Sentieri Selvaggi.

Da questo momento in poi, Eugenio riesce ad entrare in contatto con il fervente e stimolante ambiente teatrale romano. E collabora come compositore musicale a moltissimi spettacoli di importanza nazionale, dando prova di grande versatilità.

Qualche esempio? “Medea”, da Euripide e Seneca, con la regia di Caterina Costantini, “In nome della madre” di Erri de Luca, con Maria Cristina Fioretti e con la regia di Filippo d’Alessio, “Maria Stuarda” con la regia di Filippo D’Alessio.

Ma Eugenio non limita la sua attività unicamente all’ambito teatrale, ma è molto attivo anche nel cinema, componendo colonne musicali per diversi cortometraggi., come “Cambio Vita” di Loredana De Marco e “Il Body” di Domenico Domenighini e Danilo Del Bianco.

la sua vena artistica, infine, non si traduce solo in musica, ma anche in parole!

Recentemente ha infatti scritto un dizionario che raccoglie i migliori film in cui la musica è protagonista: Storie di musica al cinema.

La Musica e Il Teatro.

Eugenio Tassitano è un professionista, che lavora con i più importanti attori e registi italiani. È una persona che sa il fatto suo e che ringrazio per aver risposto alle mie molte domande.

Lascio quindi la parola ad Eugenio che ci spiegherà qual è il ruolo e il compito della Musica all’interno del teatro.

1. Secondo la tua esperienza, quale importanza viene data alla musica nel teatro italiano?

Nella maggior parte degli spettacoli di prosa la musica svolge un ruolo ausiliario, fa da scenario sonoro alla vicenda narrata e commenta i passaggi fra una scena e l’altra. Quando invece si ha l’occasione di lavorare con un regista che vuole dare una maggiore importanza ai suoni, la musica si appropria di altre funzioni, come quelle di esprimere le emozioni più profonde di un personaggio e di diventare come un’attrice che si muove sul palcoscenico assieme agli altri interpreti.

In altri generi di teatro, come la commedia musicale, ovviamente il ruolo della musica diventa fondamentale e più codificato.

2. La figura del compositore/curatore della musica negli spettacoli è consolidata o solitamente i registi tendono a farne a meno?

Qui tocchiamo un tasto dolente, nell’ambiente teatrale si combatte sempre con problemi di budget e si tende a risparmiare su tutto, musica compresa.

Basta dare un’occhiata alla programmazione dei teatri per rendersi conto che spesso in locandina non vi è traccia di autori delle musiche perché le musiche sono assenti, oppure perché vengono utilizzate musiche preesistenti scelte dal regista.

Purtroppo, a volte, anche nel caso di grandi produzioni la dimensione sonora non esiste, oppure vengono utilizzate musiche inappropriate o troppo inflazionate, errori che con l’aiuto di un esperto si eviterebbero facilmente.

Colgo l’occasione della tua domanda per dire che uno spettacolo senza musiche rinuncia in partenza a trasmettere un florilegio di emozioni al pubblico, è un harakiri artistico.

In particolare, uno spettacolo con musiche originali di solito acquista un valore aggiunto, per il fatto che le musiche sono nate assieme allo spettacolo e ne riflettono pienamente la visione registica.

Al contratrio, con le musiche di repertorio è molto più difficile che si realizzi questa alchimia, perché sono musiche scritte per altri contesti.

Mi è capitato spesso di vedere spettacoli con musiche che per certe scene funzionavano, ma per altre scene dello stesso spettacolo sarebbe stato meglio comporre materiale originale.

In buona sostanza sarebbe auspicabile che i registi decidessero sempre di avvalersi di musicisti anche soltanto per la selezione di musiche preesistenti (la feconda collaborazione tra Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi dovrebbe essere un modello per tutti).

3. Esistono delle differenze di questo aspetto tra le compagnie amatoriali e le compagnie professionistiche?

Non ho mai lavorato con compagnie amatoriali e quindi non ho sufficiente esperienza per rispondere, quello che ho notato è che, per problemi di budget o per scelta registica, le compagnie amatoriali raramente utilizzano musiche originali.

In ogni caso, la sensibilità musicale è un dono che un regista amatoriale potrebbe possedere in misura maggiore di un regista professionista. Soprattutto in campo artistico non bisogna dare spazio ad alcun pregiudizio.

4. Qual è il processo creativo attraverso il quale arrivi a realizzare o a scegliere le musiche per uno spettacolo teatrale?

Comincio studiando il copione, annotando tutti i punti dove è sicuro che ci debbano essere interventi musicali, come i momenti di passaggio o quelli previsti dal copione stesso.

Poi annoto le parti dove a mio avviso potrebbe andare altra musica, ad esempio per accompagnare il breve monologo di un attore o per commentare un’azione scenica.

Ma il lavoro fondamentale è assistere alle prove, in quella sede si comprende la chiave interpretativa del regista, il ritmo e l’atmosfera che vuole dare a ogni scena. Si montano le scene in successione e si decide assieme al regista quali momenti necessitano di musica.

La musica deve essere come un abito cucito sul codice emotivo che si vuole comunicare, nulla può essere lasciato al caso.

La scelta del timbro di uno strumento, per esempio, può rivelarsi fondamentale.

Naturalmente capita anche di decidere di usare un brano di repertorio, se sentiamo che funziona per una scena. In definitiva, le prime idee musicali nascono già dalla lettura del copione, grazie alle sensazioni che mi suscita la vicenda, il seguito delle musiche nasce durante le prove, quando le emozioni prendono vita e si trasformano in note musicali.

5. Nel tuo modo di lavorare, cambi approccio nel comporre musica per il teatro o per il cinema?

E’ una domanda che avrebbe bisogno di una risposta molto articolata.

In breve, direi che teatro e cinema sono due linguaggi con grandi analogie, ma anche con forti differenze. Definirei il teatro come un’ottima palestra per preparare un musicista a un’esperienza anche nel cinema, che resta un terreno particolarmente impegnativo.

Nel cinema la musica può assumere più facilmente funzioni disparate, la combinazione tra montaggio delle immagini e musica può arrivare a scatenare una sorta di corto circuito emotivo nello spettatore.

D’altro canto, il teatro ha una freccia al suo arco estremamente affascinante: gli attori sentono la musica mentre sono in scena e questo li aiuta molto. La musica non solo espande la scena al di là del visibile, ma trasforma anche la performance dell’attore, rendendola emotivamente più intensa, sia per lui che per il pubblico.

Uno dei pochi a fare così anche nel cinema era Sergio Leone, che faceva ascoltare la musica di Morricone sul set e poi montava il film seguendo la musica.

6. Se un musicista fosse interessato a intraprendere questa strada, cosa gli consiglieresti di fare?

Non amo dare consigli perché non mi sento il depositario di nessuna verità.

Posso parlare di quello che faccio da sempre, ovvero studiare.

Ma studiare non significa studiare soltanto la teoria musicale e le opere dei grandi compositori. La mia passione mi porta ad approfondire sempre gli aspetti teorici della mia attività (a tale proposito segnalo almeno i libri di Sergio Miceli “Musica per film. Storia estetica analisi tipologie” e Michel Chion “L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema”) e poi a voler conoscere bene le altre materie in cui mi muovo, ovvero la storia del teatro e del cinema.

Mi piace studiare le opere dei grandi autori e dei registi. Fra l’altro, questa passione mi ha condotto verso la scrittura teatrale che coltivo da qualche anno con grande soddisfazione, essendo già riuscito a rappresentare due spettacoli scritti da me che sono andati molto bene.

Vado anche spesso a teatro e al cinema, ciò mi permette di confrontarmi col lavoro degli altri cercando di scongiurare il pericolo di essere autoreferenziale e di non mantenere il passo nella contemporaneità.

Devo aggiungere che per fare questo mestiere bisogna avere qualcosa che difficilmente si può imparare, cioè una particolare sensibilità e un amore profondo per il teatro e le immagini in movimento, ovvero un grande amore per la vita e per le persone, perché teatro e cinema sono rappresentazioni della vita.

Bisogna essere empatici, disponibili a mettersi in gioco e a cercare un punto d’incontro con gli altri.

Se un compositore ha queste capacità sicuramente scriverà buona musica e, prima o poi, uno dei registi che riuscirà ad avvicinare gli proporrà una collaborazione, se tali qualità mancano diventa tutto più difficile.

7. Per concludere, indica 3 Opere teatrali famose di cui un giorno ti piacerebbe comporre le musiche.

Misurarsi con opere famose o, ancora meglio, con i classici, è sempre stimolante!

Sono testi densi di significati che sondano l’abisso dell’animo umano. Le esperienze che ho vissuto con “Romeo e Giulietta” e “Medea” resteranno per sempre nel mio cuore.

Sarebbe una bella sfida comporre la colonna musicale per “La Tempesta” di Shakespeare, “Aspettando Godot” di Beckett, o “Enrico IV” di Pirandello.

Mi fermo qui, ma la lista sarebbe lunghissima!

Ti ringrazio per l’intervista e colgo l’occasione per fare i complimenti per il bellissimo sito e salutare tutti i lettori, ci vediamo a teatro!

“Uno spettacolo senza musiche è un harakiri artistico”

Questa affermazione di Eugenio mi ha particolarmente colpita e credo che sia profondamente vera.

La Musica non è una disciplina disgiunta dal teatro. La musica è nata insieme al teatro.

E a dirlo non sono io, ma gli antichi testi teatrali greci giunti fino a noi. I testi teatrali dell’Antica Grecia erano scritti in versi e in tutti quanti c’era un elemento che svolgeva un ruolo centrale: il Coro.

Proprio questi due dettagli, insieme ad altre fonti iconografiche, hanno portato la maggior parte degli studiosi ad affermare che le rappresentazioni teatrali nell’Antica Grecia erano caratterizzate da una presenza importante di musiche e canti.

Alla luce di tutto questo, credo che sia davvero un peccato rinunciare alla musica in uno spettacolo teatrale, soprattutto se questa scelta è dettata da problemi di budget…

e a questo proposito si potrebbero dire tante cose, discuterne a lungo, ma non è questo il momento giusto. Quello che invece posso e voglio fare è ringraziare Eugenio Tassitano per il tempo dedicatomi e per avermi insegnato, con le sue parole, qualcosa in più circa il rapporto tra la Musica e il Teatro.

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