In questo articolo daremo un’occhiata alla moda degli anni ’20 del Novecento. Dopo aver parlato del modo di vestire agli inizi del secolo e negli anni ’10, adesso proseguiamo nella nostro viaggio della scoperta della moda del secolo scorso, nell’ottica di avere dei riferimenti utili alla creazione di costumi teatrali per spettacoli ambientati in questa epoca storica.
La moda femminile negli Anni ’20.
Durante la Prima Guerra Mondiale, con gli uomini impegnati al fronte, le donne cominciano ad addentrarsi in settori fino ad allora impensabili per loro. Sia per quanto riguarda le donne del popolo che quelle delle classi sociali più agiate, si comincia ad avvertire il bisogno di abiti più semplici e pratici, che diano libertà di movimento in una vita decisamente più dinamica rispetto al passato.
Gli orli si accorciano. Prima all’altezza del polpaccio, poi dal 1925 al ginocchio e per la prima volta l’Europa volge il suo sguardo all’America attraverso il cinema e allo stile libero che campeggia nelle sale da ballo con ritmi come il fox-trot, il charleston e il jazz.
È da qui che arriva la nuova moda delle Flapper girls.
In questo decennio molti sono i nuovi nomi della moda europea: tra i principali ricordiamo Chanel, Vionnet, Patou, Lanvin.
Le Flapper Girls
“Flapper” è una parola in slang americano che può avere due significati diversi: da una parte definisce ragazze da poco diventate donne (facendo riferimento all’onomatopea che simula lo sbattere delle ali di un uccellino, che sta imparando a volare); dall’altra era il nome con cui, in Inghilterra, venivano chiamate le prostitute alle prime armi, per poi trasformarsi ed andare ad indicare una qualsiasi adolescente troppo irrequieta.
Le caratteristiche principali di questa nuova moda femminile degli anni ’20 erano:
- Trucco eccessivo
- Gonne corte e caviglie in mostra
- Capelli corti
Ma le Flapper erano note anche per una sessualità disinvolta e libera, bere alcolici, fumare in pubblico e guidare automobili come facevano gli uomini.
Moda che poi si diffuse anche alle signore leggermente più anziane e che trovò la sua massima espressione in balli come il charleston, il fox-trot e il jazz, per cui furono creati abiti a vita molto bassa (spostata all’altezza dei fianchi), in cui la parte terminale della gonna era formata da innumerevoli file di perline in vetro, da frange in seta, o da file di piume, che durante la danza si muovevano ondeggiando e luccicando, seguendo i movimenti del corpo.
Gli abiti charleston erano spesso corredati da cappelli-acconciatura a rete in pendant con la parte terminale dell’abito, o fasce con al centro grandi piume. Immancabili in queste mise da sera, erano i lunghissimi fili di perle al collo.
Una moda che non viene solo dalla danza ma anche dal cinema, per cui vanno ricordate, tra i tanti nomi, attrici hollywoodiane come Joan Crawford, Norma Shearer e Louise Brooks.
Coco Chanel (1883 – 1971)
È il 1919 quando Gabrielle Chanel apre la sua prima casa di moda. Si specializza nell’utilizzo del jersey in modelli all’avanguardia, come le gonne a vita bassa dalla pieghettatura morbida, le camicette ampie o alla marinara, le giacche dalla linea morbida o i maglioni da uomo e i cardigan da indossare sopra gonne dritte.
Da questo si può capire che già dagli esordi Chanel puntava alla funzionalità degli abiti: ogni donna poteva facilmente vestirsi da sola, poiché le chiusure erano tutte a portata di mano.
La prima delle importanti innovazioni di questa stilista, nei primi anni venti, va ricercata nell’introduzione della moda alla garçonne, il taglio dei capelli corto, che nacque per una fatalità: essendosi bruciata parte dei capelli con un fornello, tagliò anche l’altra parte.
Da qui in poi, durante il corso del decennio, questo taglio si espanse alla maggior parte dell’universo femminile. Questa moda si riversò poi anche nell’abbigliamento.
È il 1921 quando esce, per la prima volta sul mercato, un profumo tutt’ora iconico, lo “Chanel N.5”, messo a punto con l’aiuto del profumiere Ernest Beaux, profumiere dello Zar, emigrato in Francia a causa della Rivoluzione Russa.
Nasceva così un nuovo ideale di profumo, «[…]frutto di una fabbricazione, un profumo femminile» che odora «di donna, perché una donna deve odorare di donna e non di rosa». Prese il nome di Nº5 in quanto corrispondeva alla quinta essenza scelta da Chanel (ma si dice anche che il 5 fosse il suo numero preferito).
Nel 1926 Chanel lancia per la prima volta il suo abito simbolo: “le petite robe noir”, il tubino nero.
La rivista americana Vogue, elogiò da subito questa creazione, paragonandolo, per il suo design moderno, alla Ford Model T.
Quello che la contraddistingue, e che ne ha fatto la fortuna fino ai giorni nostri, è l’attenzione che Coco dedica alle rifiniture, come ad esempio le fodere di seta con motivi analoghi alle camicie, e ai particolari tecnici di confezione degli abiti.
Va anche detto che il successo immediato delle creazioni di Chanel è dovuto ad una modellistica molto semplice e facilmente riproducibile, per cui fu anche largamente imitato già dagli esordi.
Jean Patou (1887 – 1936)
Patou fu uno dei primi stilisti a personalizzare i capi con un monogramma. Come Chanel aprì il suo primo salone nel 1919 e come lei è uno dei più importanti sostenitori dello stile garçonne.
Grande rilevanza ha la sua produzione di capi sportivi e costumi da bagno. Nel 1922 crea per Suzanne Lenglen la tenuta da tennis, composta da una gonna a pieghe in seta bianca, cardigan e fascia per capelli, dello stesso colore. Nel 1924 apre il primo atelier per la creazione esclusiva di abiti sportivi e costumi da bagno.
Per questo stilista il colore è di grande importanza, tanto che ad ogni stagione le sue collezioni cambiano radicalmente le tonalità: inventa colori come, ad esempio, il Patou blue e il dark dahlia.
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La moda degli anni ’20 in Italia
Nel 1919 nasce in Italia la rivista “Lidel”, acronimo di “letture, illustrazioni, disegni, eleganza, lavoro”. Sulle pagine di questa rivista la giornalista Lydia Dosio De Liguorio cercò di promuovere una sorta di programma antifrancese per la moda italiana, sostenendo la causa della “lega italiana contro il lusso” promossa dai Fasci Femminili Milanesi.
Arrivò a proporre per la donna italiana un’unica linea di abbigliamento, il tailleur.
Una delle prime prove, precedenti al regime, atte ad uniformare le donne in quelle che saranno poi le varie “divise” imposte dal fascismo.
Sarà poi nel 1923 che verrà fondato il sindacato di alta moda inserito nella “Federazione Nazionale Fascista Industrie dell’Abbigliamento”, che cercherà di allontanare la moda italiana dal gusto francese e farla diventare un punto di riferimento internazionale. Invano.
La moda era talmente identificata con Parigi che l’imitazione era più redditizia dell’innovazione.
Tanto che la stessa figlia del duce, per il suo matrimonio con Galeazzo Ciano nel 1930 preferirà, nonostante il nazionalismo ormai imperante, un abito francese.
Il fascismo per il momento dovette accontentarsi di esprimere l’originalità della moda italiana attraverso la valorizzazione delle tradizioni regionali e folkloristiche.
L’inconfondibile tocco di italianità dovette, quindi affidarsi alle lavorazioni artigianali di ricami, pizzi, merletti e perline di vetro veneziano.
La Moda maschile degli anni ’20.
A differenza del decennio precedente, in cui non aveva presentato particolari cambiamenti, anche la moda maschile risente molto del fermento e della dinamicità degli anni venti.
Le innovazioni più significative vengono dall’Inghilterra e in particolare dal principe del Galles, Edoardo, colui che rinunciò al trono in favore del fratello (Giorgio VI) per sposare l’americana Wallis Simpson.
Incurante dei dettami dell’etichetta, amante degli sport (in particolare il golf) e della vita di campagna, egli diventa il simbolo di forme molto più comode:
- giacche con spalle larghe e cadenti,
- pantaloni larghi o corti (portati con calzettoni a quadri), chiamati Oxford bags,
- utilizzo frequente di un tipo di tessuto che mescolava quadri e righe, chiamato Principe di Galles.
Dal 1928 nella moda maschile si affermano gli Spezzati, completi in cui giacca e pantaloni avevano colore diverso.
Altre tendenze che prendono piede negli anni ’20 sono l’utilizzo di colori chiari per il giorno, le giacche a doppiopetto e il risvolto all’orlo dei pantaloni.
Rimane ancora in auge il cilindro, di seta nera per la sera e grigio per le occasioni mondane come le corse dei cavalli.
Dagli Stati Uniti arriva la nuova moda del derby, una nuova versione della bombetta. Comincia inoltre a diffondersi il cappello in feltro, sformato e schiacciato, come si vedeva nei film di gangster.
Come per la moda femminile, in Italia si cercò di creare anche una linea maschile tutta nazionale.
Il giornale “La moda Maschile” (periodico già attivo dal 1903), promosse nel 1929 un concorso per cui arrivarono addirittura settecento proposte da tutta la penisola: segno che, nonostante l’influenza della moda anglosassone, l’Italia poteva contare su un artigianato fervidissimo, che poi vedrà il suo massimo splendore dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi.
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