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Gli Archetipi per una storia avvincente

Gli Archetipi per una storia avvincente

Indice dell'articolo

Durante i miei studi, uno degli argomenti che più mi ha sconvolto (positivamente) e che mi ha davvero dato l’impressione di aver finalmente potuto capire il “quadro generale” che avevo sempre intravisto ma mai compreso davvero, è quello degli Archetipi.

Quante storie hai ascoltato, letto o visto fino a oggi nella tua vita?

Centinaia, forse migliaia.

E quanti personaggi dentro queste storie?

Innumerevoli, ognuno con la sua psicologia, le sue tribolazioni, i suoi pregi e i suoi difetti, che si trova ad affrontare un percorso unico, che lo differenzia da tutti gli altri che hai conosciuto in precedenza.

Beh, alla fine di questo articolo la tua visione delle storie e dei personaggi sarà completamente diversa.

Quello che leggerai di seguito potrebbe essere estremamente affascinante o estremamente deludente, dipende da come lo si guarda.

Cosa sono gli archetipi?

La parola “Archetipo” è composta da arché, cioè “inizio, principio originario” e typos, “modello, marchio, esemplare”. Letteralmente significa quindi “modello originario“.

Questa parola è stata utilizzata in numerosi campi, dalla psicologia alla filosofia, alla letteratura.

Per esempio, in filologia (lo studio dei testi) l’archetipo è il testo originario da cui derivano le successive copie, che magari differiscono tra loro ma mantengono dei tratti distintivi che possono essere fatti risalire a un modello iniziale comune.

Allo stesso modo, nella narrativa, nella letteratura e nella drammaturgia, esistono degli archetipi sia per quanto riguarda i personaggi che le trame di qualsiasi opera.

Semplificando, è possibile affermare che qualsiasi storia mai stata raccontata ricade all’interno di una manciata di trame (vedremo più avanti quante) e addirittura ad unico archetipo fondamentale: il “Viaggio dell’Eroe“.

Allo stesso modo, i milioni di personaggi creati da scrittori e drammaturghi nel corso della storia dell’uomo, possono essere ricondotti ad appena 7 tipologie ricorrenti.

Perché esistono gli archetipi?

Se ci pensi, sembra impossibile che per quanta fantasia uno scrittore possa avere, qualsiasi storia o personaggio creerà finirà sempre per ricadere in una casistica di tipologie così ristretta.

Uno degli aspetti sconvolgenti di questo argomento è che non è soltanto una questione di educazione. Al giorno d’oggi soprattutto, ma anche in passato, gli scrittori conoscono questa teoria e la utilizzano per assicurarsi di scrivere una storia con delle fondamenta solide. Per cui è normale che una volta affermatasi questa teoria, la si possa riscontrare in tutti i prodotti attuali.

Ma questa teoria si è affermata perché è stata riscontrata in qualsiasi storia mai scritta o raccontata durante tutta la storia dell’umanità.

Questi “modelli originari” sono in qualche modo connaturati all’essere umano, sono rappresentazioni mentali che tutti noi possediamo fin dalla nascita, in tutte le culture e in ogni epoca storica.

Ma come è possibile?

Jung e l’inconscio collettivo

Lo psichiatra Carl Gustav Jung (1875 – 1961) elaborò a inizio Novecento una teoria che spiega l’esistenza degli archetipi legandola alla psicologia umana.

Gli archetipi secondo Jung sono delle rappresentazioni universali di modelli di comportamento elementari. Non sono concetti che vengono appresi con l’esperienza, ma sono già dentro di noi fin dalla nascita come idealizzazioni derivate dagli istinti biologici e psicologici di base.

Sopra a queste immagini mentali innate, si vanno poi a stratificare le continue ripetizioni create dall’esperienza che vanno a rafforzare l’idealizzazione di questi modelli archetipici, fino a materializzarle in trame e personaggi.

Se solo potessimo ricordarlo, probabilmente capiremmo che non abbiamo “imparato” il concetto del Vecchio saggio la prima volta che qualcuno ci ha raccontato una storia in cui era presente un personaggio di questo tipo. Quel concetto, quel modello di comportamento era già dentro di noi fin dalla nascita, legato al bisogno innato di essere accuditi, a sua volta generato dalla paura atavica dell’ignoto.

Per questo motivo Jung conia il termine “inconscio collettivo” (che poi evolverà in “psiche oggettiva”), ovvero quella parte dell’inconscio di una persona che è comune a ogni essere umano, proprio perché è una rappresentazione derivata da istinti e bisogni innati in tutta l’umanità.

All’interno di questo inconscio collettivo si possono trovare gli archetipi, le forme e i simboli che ricorrono in ogni società e cultura umana.

Gli archetipi, pur essendo immagini primordiali e collettive, si confrontano con la coscienza personale e vengono continuamente rielaborati dalla società e dalla cultura in cui si vive. Si rafforzano, si indeboliscono e possono addirittura scomparire.

Nell’epoca attuale della comunicazione di massa, libri, film, spettacoli teatrali possono svolgere un ruolo fondamentale nella rielaborazione degli archetipi.

Basti pensare a quanto sia ben radicato oggi l’archetipo del Mentore rappresentato come un vecchio saggio, soprattutto dopo l’enorme successo di personaggi come Gandalf del Signore degli anelli e il Preside Silente di Harry Potter.

Jung tenta anche di formulare un elenco di archetipi ricorrenti, continuamente ridefinito e approfondito nel corso della sua carriera, di cui i più importanti sono:

  • “, ovvero il risultato del processo di individuazione, di costruzione della propria personalità, che comprende la parte cosciente e quella incosciente.
  • Ombra“, ossia gli istinti, la parte irrazionale o repressa della propria coscienza
  • Anima” e “Animus“, che rappresentano rispettivamente gli elementi femminili (legati alle emozioni e agli istinti) nell’uomo e quelli maschili (legati alla conoscenza e alla razionalità) nella donna*.
  • Persona“, cioè l’immagine pubblica che abbiamo di noi stessi, o a volte la maschera che siamo costretti a portare per nascondere la nostra vera natura alla società.

Ci sono poi altri archetipi come “la Grande Madre“, il “Padre“, “L’eterno fanciullo” e altri ancora che riflettono aspetti diversi della nostra personalità e che tutti insieme concorrono a costruirla.

* Queste teorie sono degli inizi del Novecento. L’associazione tra emozioni e istinti alla donna e la razionalità all’uomo è da intendersi come derivata dalla visione del mondo dell’epoca. Se questa teoria fosse stata sviluppata al giorno d’oggi avrebbe probabilmente una definizione diversa di questo particolare aspetto. Personalmente l’ho trovata piuttosto fuorviante, piuttosto che offensiva, perché rende più complicata la comprensione del concetto.

Joseph Campbell e il Monomito

La teoria di Jung è stata poi ripresa da Joseph Campbell, che ne riscontra le caratteristiche nella mitologia dei vari popoli, nelle fiabe e nella letteratura.

Nel suo libro “L’eroe dai mille volti” del 1949 (Lettura stra-consigliata!) Campbell teorizza per la prima volta la struttura del Viaggio dell’Eroe, definito anche “Monomito“, nel senso che le storie della mitologia, le fiabe, addirittura le storie dei grandi profeti, sono tutte riconducibili a questa unica struttura.

Joseph Campbell – Di Joan Halifax – CC BY 2.0

In pratica il viaggio dell’eroe è una sorta di Archetipo narrativo, un modello originario primordiale a cui si rifanno praticamente tutte le storie mai raccontate.

La struttura originale di Campbell prevede 17 fasi, solitamente organizzate in 3 atti:

  • Partenza, durante la quale il protagonista vive nel mondo ordinario, ma riceve una chiamata all’azione, per seguire la quale deve superare una soglia.
  • Iniziazione, in cui il protagonista, superata la soglia, si trova ad affrontare una serie di prove, fino a superare l’ostacolo più difficile e infine trionfare.
  • Ritorno, in cui il protagonista torna al mondo originario, a volte con riluttanza, portando con sé il tesoro conquistato nella fase precedente.

Non tutte le storie presentano esplicitamente tutte le 17 fasi di questo viaggio dell’eroe. Possono concentrarsi su alcune e tralasciarne altre, possono succedersi in ordine diverso, oppure essere presenti in modo meno evidente.

Il viaggio dell’eroe di Campbell sarà poi rielaborato da altri studiosi, tra cui Cristopher Booker nel 2004 e Cristopher Vogler nel 2007, di cui parleremo tra poco.

Nel corso del viaggio dell’eroe, il protagonista (l’Eroe appunto) incontra vari personaggi anch’essi identificabili con degli archetipi. Il vecchio saggio che lo aiuta a rispondere alla chiamata, l’antagonista che lo ostacola, gli aiutanti e via dicendo.

Alla fine di questo viaggio l’eroe compie un’evoluzione psicologica, tornando nel suo mondo di partenza trasformato, con una nuova consapevolezza di sé.

Il viaggio dell’eroe è quindi una sorta di metafora del processo di maturazione psicologica che ognuno di noi compie nella definizione della propria personalità.

L’eroe siamo noi.

Durante l’infanzia viviamo nel nostro mondo ordinario, fino a che qualcosa o qualcuno non arriva a scuoterlo, costringendoci a uscire dalla nostra zona di comfort. Tipicamente, durante l’adolescenza iniziamo il processo di autorealizzazione, un lungo viaggio attraverso varie prove che ci farà scoprire sempre più cose su noi stessi, su chi siamo, sui nostri pregi e sui nostri difetti. Dobbiamo affrontare le nostre paure e confrontarci con le altre persone, facendo affidamento su alcune (mentori) e scontrandoci con altre (ombre).

Fino a che in età adulta riusciamo ad ottenere una piena consapevolezza di noi stessi (chi più chi meno 😀 ) e siamo pronti per diventare i “Vecchi saggi” nel viaggio di un nuovo eroe (i nostri figli, nipoti, allievi).

Come per le storie, anche il viaggio di ognuno di noi è sempre diverso e più o meno difficile, più o meno di successo e può anche essere incompleto.

Ma la ragione per cui il viaggio dell’eroe è considerato l’archetipo originario di qualsiasi storia è perché fondamentalmente racconta la nostra storia, ci ricorda cosa potremmo essere in grado di fare, ci dice che è tempo di crescere e raggiungere il nostro massimo potenziale.

Chris Vogler e il Viaggio dell’eroe

Christopher Vogler. Di Etan J. Tal – Opera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento

Le teorie di Campbell vengono poi riprese da Christopher Vogler, sceneggiatore statunitense di Hollywood, che costruisce su di esse un vero e proprio manuale di riferimento da utilizzare per la scrittura o l’analisi di racconti e sceneggiature.

Nel suo libro, chiamato appunto “Il viaggio dell’eroe” (anche questo libro super-consigliato!), spiega come la parola “viaggio” non debba necessariamente significare uno spostamento fisico del protagonista.

Il termine si riferisce più al percorso di trasformazione interiore del personaggio principale, un cammino da un modo di essere a un altro.

“In ogni buona storia l’eroe cresce e cambia, compiendo un cammino da un modo di essere a un altro: dalla disperazione alla speranza, dalla debolezza alla forza, dalla follia alla saggezza, dall’amore all’odio e viceversa. Sono questi percorsi emozionali che avvincono gli spettatori e che rendono la storia interessante.”

Le fasi del viaggio dell’eroe

Operando una semplificazione rispetto alle fasi teorizzate da Campbell, Vogler individua 12 stadi (rispetto ai 17 di Campbell) in cui articola il viaggio dell’eroe:

Primo atto (circa 1/4 della storia)

  1. Mondo ordinario
  2. Richiamo all’avventura
  3. Rifiuto del richiamo
  4. Incontro con il Mentore
  5. Varco della prima soglia

Secondo atto (circa 2/4 della storia)

  1. Prove, alleati, nemici
  2. Avvicinamento alla Caverna più recondita
  3. Prova centrale
  4. Ricompensa

Terzo atto (circa 1/4 della storia)

  1. La via del ritorno
  2. Resurrezione
  3. Ritorno con l’Elisir

Vogler sottolinea anche come questa struttura dovrebbe essere soltanto uno scheletro sul quale costruire i vari dettagli della storia, le dinamiche, le sorprese, i colpi di scena e via dicendo. Questa successione di eventi non dovrebbe essere immediatamente visibile, ne è necessario seguirla in modo accurato.

Ogni storia potrà rimescolare le fasi, ometterle e aggiungerne altre, senza per questo perdere la sua efficacia. La cosa importante è l’insieme dei valori insiti in questo modello, le fasi del viaggio dell’eroe sono solo rappresentazioni ricorrenti (e quindi affidabili) di esperienze universali dell’essere umano.

Ad esempio, è più importante che il protagonista realizzi un cambiamento nel corso della storia, piuttosto che la successione di eventi che lo porteranno a compierlo.

È più importante che riesca ad affrontare le sue paure, che siano esse un nemico potente, un tormento psicologico o la perdita della persona amata, piuttosto che assicurarsi che questo avvenga verso la fine del secondo atto.

I 3 atti e le 12 fasi vanno intese come un canovaccio di base, con il quale è possibile giocare, fino anche a stravolgerlo, allo scopo di trovare il modo più efficace di raccontare il percorso di crescita del protagonista.

All’interno di questa struttura si trovano ad agire numerosi personaggi, che Vogler riconduce a 7 archetipi fondamentali basandosi sulle teorie di Jung e Campbell.

Questi ruoli fondamentali non vanno considerati come immutabili, ma piuttosto come funzionali al portare avanti la storia. Quindi uno stesso personaggio può avere le qualità di un certo archetipo all’inizio del racconto e quelle di un altro alla fine.

Ne “Lo Hobbit“, Gandalf svolge inizialmente la funzione di messaggero quando va da Bilbo per proporgli di prendere parte a un’avventura. Ma ben presto si trasformerà nel suo Mentore, guidandolo e consigliandolo nel viaggio.

Esistono anche moltissime tipologie di personaggi ricorrenti che rappresentano varianti ed elaborazioni di questi tipi fondamentali, come ad esempio i personaggi delle fiabe (la matrigna cattiva, il cacciatore, il locandiere, il principe, ecc…), gli archetipi psicologici (l’Eterno fanciullo, il Ricco avaro, il bello e dannato, ecc…), oppure figure specifiche di alcuni generi (poliziotto buono – poliziotto cattivo, il sergente di ferro, ecc…).

Un ulteriore sviluppo del viaggio dell’eroe si è avuto con le 7 trame fondamentali illustrate da Christopher Booker nel suo libro del 2004 “The Seven Basic Plots: Why We Tell Stories”.

Secondo Booker, pur rimanendo sostanzialmente nel solco del Viaggio dell’Eroe, esistono 7 trame di base dalla quale discendono tutte le altre, ovvero:

  • Affrontare il mostro
  • Dalle stalle alle stelle
  • La ricerca
  • il Viaggio
  • La commedia degli equivoci
  • Tragedia
  • Rinascita

Anche in questo caso, non si tratta di schemi immutabili e intoccabili, ma strutture di base che la fantasia degli scrittori può reinterpretare, mescolare e arricchire.

Accettando un po’ di semplificazione, si potrebbe immaginare così una sorta di “albero genealogico” delle trame dei racconti.

Quelli che seguono sono i 7 archetipi fondamentali che è possibile ritrovare in tutte le storie.

Eroe

È l’archetipo per eccellenza.

L’intera trama è incentrata sul racconto del suo viaggio, fisico e/o mentale.

A livello psicologico, l’Eroe rappresenta l’Io, l’identità personale che ci fa percepire come differenti dagli altri, a partire dal genitore.

Il viaggio infatti inizia proprio con una separazione dal suo mondo ordinario e rassicurante, del tutto analoga alla separazione del bambino dal genitore che avviene durante l’infanzia. Incontrerà poi una serie di personaggi archetipi, che simboleggiano le varie parti della psiche umana, proprio come un essere umano deve imparare a conoscere se stesso, affrontare le proprie luci e le ombre, fino a fonderle insieme in un’entità equilibrata.

Dal punto di vista drammaturgico invece l’eroe ha lo scopo di far identificare il pubblico in sé stesso. Presenta delle qualità straordinarie, che il pubblico possa desiderare di avere. Ma al contempo ha dei difetti o punti deboli, in modo da risultare più simile a chi ne ascolta la storia. Infine, deve essere mosso all’azione da una motivazione universale che prima o poi tutti noi proviamo: vendetta, rabbia, amore, competizione, disperazione e via dicendo.

La particolare combinazione di qualità, difetti e motivazioni fa in modo che ogni eroe abbia una propria peculiarità e sia unico, piuttosto che uno stereotipo.

Uno degli aspetti peculiari dell’eroe è il suo percorso di crescita. Vogler nel suo libro indica che in caso di dubbio su quale sia il personaggio principale di una storia, spesso la risposta è “Quello che impara e cresce di più nel corso della storia”.

Un eroe che non evolve è spesso un personaggio fiacco, poco riuscito.

Bilbo Baggins, da “Lo Hobbit”

Mentore

Questo archetipo è la guida dell’eroe.

Si manifesta in tutti quei personaggi che donano qualcosa all’eroe. La propria saggezza, la propria protezione o strumenti che gli saranno utili durante il viaggio. Spesso sono determinanti nel permettere all’eroe di superare una prova o anche solo nel convincerlo a iniziare il viaggio.

La funzione psicologica del mentore è quella della propria coscienza, la parte di noi più saggia, che sa cosa è giusto e ci guida. Strettamente legato alla figura del genitore, può anche rappresentare la versione di noi stessi che vorremmo diventare.

Non è raro infatti che i mentori siano ex-eroi che una volta terminato il proprio viaggio e raggiunto un livello più alto di consapevolezza, la mettono a disposizione di altri eroi.

Il Grillo Parlante, da “Pinocchio”

Guardiano della Soglia

Questo archetipo costituisce una prima verifica della determinazione dell’eroe.

L’eroe incontra il guardiano della soglia solitamente al limite tra il mondo ordinario e quello straordinario che si accinge ad affrontare. Il suo scopo è quello di impedire l’accesso all’eroe, mettendone alla prova la motivazione a proseguire nell’avventura.

Non è necessariamente un vero e proprio nemico dell’eroe. Potrebbe essere un aiutante del cattivo, un evento avverso, oppure semplicemente un personaggio del mondo straordinario che pur essendo neutrale con il suo comportamento mette i bastoni tra le ruote all’ eroe.

Psicologicamente il guardiano della soglia rappresenta le nostre nevrosi, i nostri demoni interiori. Quelle paure, dubbi, vizi, cattive abitudini, dipendenze e via dicendo, che rendono difficile realizzare un cambiamento positivo nella nostra vita.

Non necessariamente ci fermeranno, ma sono la prima difficoltà da affrontare e superare per migliorarsi.

Il muro da scalare e il balcone rappresentano il guardiano della soglia per l’eroe Romeo. Il primo ostacolo da superare, che mette alla prova la sua determinazione a raggiungere il suo scopo. Un interessante esempio di come un elemento scenico possa svolgere la funzione di un archetipo.

Messaggero

Questo archetipo recapita il richiamo all’avventura all’eroe.

Il messaggero è il personaggio che raggiunge l’eroe nel suo mondo ordinario e gli fornisce la motivazione a lasciarlo e iniziare il suo viaggio.

Ha un ruolo fondamentale, in quanto senza questo personaggio la storia non avrebbe modo di iniziare.

La sua funzione è così importante che nella mitologia il dio Ermes (Mercurio) si dedica esclusivamente a questo ruolo.

Questo archetipo ha la particolarità di poter essere rappresentato non solo da un vero e proprio personaggio, ma anche da un evento, da una forza esterna. Ad esempio un tremore della terra che preannuncia un’eruzione vulcanica dal quale l’eroe dovrà salvarsi.

Dal punto di vista psicologico rappresenta la presa di coscienza della necessità di un cambiamento nella nostra vita. Che sia l’incontro con una persona, la lettura di un libro, un lampo di genio, scatta qualcosa dentro noi che continua a risuonare fin quando il cambiamento non risulta inevitabile.

Il personaggio di Hagrid svolge la funzione di messaggero all’inizio della saga di Harry Potter

Mutaforma

Questo archetipo introduce dubbi nell’eroe e suspence nella storia.

I personaggi mutaforma cambiano continuamente agli occhi dell’eroe ed è difficile per il pubblico definirli con chiarezza. Non si riesce a capire se l’eroe può fidarsi di loro o meno, se sono alleati o nemici, sviandolo o tenendolo in sospeso.

Addirittura l’eroe può temporaneamente indossare questa maschera, magari per riuscire a superare un ostacolo o una soglia, oppure nell’esprimere un suo difetto caratteriale.

Rappresenta la scoperta dei lati nascosti della propria personalità e il confronto interno con i lati del sesso opposto (ricordi l’Anima e l’Animus di Jung?). In particolare incarna la proiezione delle proprie aspettative sulle altre persone, anche se non corrispondono alla verità.

in “Alla ricerca della pietra verde”, il personaggio interpretato di Michael Douglas rappresenta un esempio di mutaforma per l’eroina interpretata da Kathleen Turner, che fino all’ultimo momento non sa se può fidarsi di lui nonostante si siano innamorati nel corso dell’avventura.

Ombra

Questo archetipo costituisce la sfida suprema dell’eroe.

L’ombra crea il conflitto e di conseguenza permette all’eroe di mostrare il lato migliore di sé, anche a costo di sacrificare la sua vita.

Si tratta di un archetipo molto versatile.

Può concretizzarsi sia nel classico cattivo, che ha lo scopo di annientare l’eroe o comunque impedirgli di raggiungere il suo scopo. Ma può essere identificato anche negli antagonisti, che possono essere meno ostili rispetto a un vero e proprio nemico. Potrebbero essere alleati con lo stesso scopo del protagonista ma con metodi e valori differenti, eroi della loro storia, ma che con le loro azioni ostacolano il viaggio dell’eroe.

L’archetipo dell’Ombra può manifestarsi quindi in molteplici personaggi, anche temporaneamente. Addirittura lo stesso eroe può manifestare tratti dell’ombra, quando le difficoltà affrontate o i suoi difetti lo portano a comportarsi in modo autodistruttivo e a mettersi i bastoni tra le ruote da solo.

L’Ombra rappresenta le nostre psicosi, le paure, i traumi profondi e i sensi di colpa, in generale tutte quelle emozioni represse in fondo al nostro inconscio, che se non vengono affrontate possono trasformarsi in mostri pronti ad annientarci.

Il personaggio di Gollum da “Il signore degli anelli” e “Lo Hobbit” è un interessante esempio di ombra. Pur non essendo il cattivo (Sauron), rappresenta quello che i due eroi Frodo e Bilbo avrebbero potuto diventare se si fossero lasciati corrompere dal potere dell’anello.

Imbroglione

Questo archetipo fornisce una temporanea distrazione dalle vicende dell’eroe.

Molto spesso l’Imbroglione è un personaggio comico o goliardico, che ridimensiona sia le grandi qualità che le tribolazioni dell’eroe. Spezza le tensioni, le ansie e i conflitti della storia in modo che queste non finiscano per sfinire gli spettatori.

Anche se di solito l’archetipo dell’imbroglione si incarna in servitori o alleati dell’eroe o dell’ombra, si può ritrovare in personaggi indipendenti e in casi particolari anche nello stesso Eroe o nell’Ombra.

Dal punto di vista psicologico, l’imbroglione rappresenta la capacità di rendersi conto della necessità di un cambiamento.

Attraverso l’auto-ironia sottolineiamo i nostri limiti e le nostre ipocrisie, evidenziando uno squilibrio interno o l’assurdità di una situazione in cui ci troviamo invischiati, ispirandoci al cambiamento.

Han solo, da “Star Wars”

In quale archetipo ti riconosci?

Se questo argomento ti interessa, su Teatro per Tutti troverai presto altri articoli in cui scenderemo nei dettagli di ogni archetipo.

Parleremo dell’Eroe, del Mentore, del Guardiano della soglia, del Messaggero, del Mutaforma, dell’Ombra e dell’imbroglione, con tanto di esempi!

Approfondiremo poi il Viaggio dell’Eroe, cercando di capire bene come riconoscerlo oppure come utilizzarlo come struttura base per scrivere una storia.

Analizzeremo infine anche le 7 trame fondamentali con esempi e curiosità.

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Ma adesso dimmi…quale archetipo ti piace di più?

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