Chi vive nella convinzione che per fare carriera nel mondo del teatro sia obbligatoria una laurea probabilmente non ha mai sentito parlare di Antonio Latella. Classe 1967, titolo di studio: terza media.
Chi è Antonio Latella?
Attore, regista, drammaturgo di fama europea, Antonio Latella è originario di Castellammare di Stabia (Napoli). Anche se lì non ci ha mai vissuto, nasce in una famiglia di operai e in una “casa in cui non c’erano libri”.
Oggi è riconosciuto come uno dei registi più incisivi nel panorama teatrale italiano ed estero per la poetica, il rigore e le variazioni che ne arricchiscono il percorso.
Ma il tragitto per arrivare fino a questo riconoscimento è lungo e per nulla facile. Per capire bene la figura di Latella bisogna ripercorrere, almeno a grandi linee la sua vita.
Cresciuto in un “paesino di cinquecento anime con un dialetto per noi incomprensibile” e con la napoletanità di musiche e film che invadevano la propria casa, trascorre l’infanzia fra chiesa e scuola e le recite dell’oratorio, cosicché il gioco teatrale iniziava genuinamente a entrare nel suo animo.
In questo contesto, dirige il suo primo spettacolo a undici anni, I vestiti nuovi dell’imperatore di Hans Christian Andersen.
I primi approcci come attore
Anche se attratto dal teatro sin dal primo incontro, il giovane Antonio Latella sognava di diventare un regista cinematografico e da questo “altro luogo” trarrà molte ispirazioni per le opere future.
A sedici anni abbandona il liceo per la scuola infermieri, esperienza che lo formerà anche per il suo lavoro da regista:
Quando sei infermiere devi saper ascoltare senza che ti venga detto. È uno sviluppo totale all’ascolto e in teatro di aiuta a comprendere di cosa ha bisogno l’attore prima che se ne renda conto lui stesso”.
Successivamente entra a far parte della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino diretta da Franco Passatore: in questi anni senza sosta il nostro artista passa dalla scuola infermieri (che abbandonerà), alle scuole per attori dello Stabile e la Bottega Teatrale di Firenze, diretta da Vittorio Gassman, prestando anche il servizio di leva.
Tra il 1986 e il 1997 lavora come attore diretto da grandi nomi del teatro italiano tra i vari da Pippo Di Marca, Luca Ronconi, Elio De Capitani, Walter Pagliaro e Vittorio Gassman portando in scena personaggi tratti da differenti opere da Ifigenia a Le smanie della villeggiatura di Goldoni e anche Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare.
La svolta alla regia di Antonio Latella
L’esperienza da attore è senza dubbio fondamentale per Latella, ma sarà il passaggio alla regia a conferirgli fama nazionale ed europea, portando i suoi spettacoli nei più importanti teatri e in grandi festival.
Il primo grande approccio alla regia teatrale è nel 1998 con lo spettacolo Agatha di Marguerite Duras.
Prima di questo spettacolo il regista aveva messo in scena due “esperimenti”, il primo Appeso sospeso, una «follia con dieci attori» con un testo che omaggiava maestri come Pina Bausch e il secondo Favola nera tratto dalle opere di Genet.
Con Agatha Latella mette in scena tutto quello che da attore aveva imparato stando al fianco di grandi registi, studiando gli autori con improvvisazioni attraverso cui cercare il giusto metodo.
Negli anni successivi si dedica alle messinscene shakespeariane con opere come Otello, Romeo e Giulietta, Macbeth, Riccardo III, La bisbetica domata e La tempesta, che lui definisce «una bella sfilza di errori assai importanti, una palestra (…) con energia creativa».
Nel 2001, grazie a queste sperimentazioni, vince il suo primo Premio Ubu per il progetto Shakespeare e oltre e, nel 2004, il Premio Gassman come miglior artista dell’anno.
Dopo Shakespeare continua a portare in vita opere dal teatro classico, passando attraverso vari grandi autori come Jean Genet con I Negri e Querelle, e Pier Paolo Pasolini con Pilade, Porcile e Bestia da stile, per tornare poi al teatro inglese con l’Edoardo II di Christopher Marlowe e Aspettando Godot di Samuel Beckett (2007).
Nel 2004 debutta come regista d’opera a Lione con L’Orfeo di Claudio Monteverdi, cui seguono Orfeo ed Euridice di Gluck e Tosca di Giacomo Puccini.
Negli ultimi anni continua a portare in scena i classici passando da Goldoni e Tasso a Tennessee Willams e Cervantes senza tralasciare le rappresentazioni tradizionali come Cenerentola e Pinocchio.
Nel 2016 ha presentato Edipo da Sofocle al Theater Basel e la maratona Santa Estasi – Atridi: otto ritratti di famiglia al Teatro delle Passioni di Modena con attori e drammaturghi del Corso di alta formazione della Fondazione Emilia-Romagna Teatri.
Ha curato la Direzione artistica del Teatro Nuovo di Napoli per la stagione 2010/2011. Nel 2011 fonda la sua compagnia Stabilemobile.
Antonio Latella e dal 2017 è direttore del Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia.
Antonio Latella come autore teatrale
Fra le varie opere firmate da Latella mi soffermo a parlare dello spettacolo Ti regalo la mia morte, Veronika (2015), poiché a parer mio è una fra le sue opere cardine (e inoltre è lo spettacolo che mi ha fatto conoscere questo autore).
È tratto dalla storica pellicola dell’82 Veronika Voss di Rainer Wender Fassbinder, e segna il secondo incontro con la poetica del registra cinematografico tedesco, dopo la messa in scena di Le lacrime amare di Petra von Kant nel 2006.
La scelta registica per questo spettacolo si traduce in una corsa senza freni nella vita e nella mente di Veronika Voss (portata in scena da Monica Piseddu), diva ormai quasi dimenticata e vittima di una dipendenza da morfina.
Lo spettacolo si apre con una Veronika quasi evanescente che avanza in proscenio per invocare aiuto, a tutti e a nessuno contemporaneamente, con un grido forzato, “aiutatemi a regalarvi la mia morte”.
Da qui ha origine una grande allucinazione, un coro di mostruosi gorilla albini (metafora in questo caso della morfinomania della protagonista, più volte evocata come «la scimmia») fa capolino per accompagnarla nella corsa verso un destino ineluttabile, ripercorrendo trasversalmente le tappe del suo ultimo film in un turbine in cui vita e finzione si confondono di continuo.
Latella cita in quest’opera un grande autore come Čechov, sottolineando ancora una volta il suo forte legame con gli autori classici teatrali. In questo caso lo fa attraverso un’atmosfera fiabesca suggerita da maestosi costumi colorati in cui richiama tutte le eroine fassbinderiane: Maria, Margot, Emma, Elvira, Martha in un giardino carico di ciliegi e ricco di imprevedibilità e di speranza.
Il Pinocchio per adulti
Anche Latella, come altri grandi dello spettacolo (come Carmelo Bene, giusto per citare un nome a caso), si cimenta nell’interpretazione del burattino che vuole diventare un “ragazzo vero”.
In questo spettacolo Antonio Latella gestisce l’andamento della storia “a modo suo”, prendendo la più che nota storia di Pinocchio, il classico ottocentesco, e, mantenendosi il filo della narrazione, lo spezzetta e lo ricrea, dandogli una nuova vita.
Mette in questo modo in atto un esercizio drammaturgico dalle scelte estetiche metaforiche e complesse, lasciando dell’opera originale solo gli archetipi che giocano il ruolo di modelli interpretativi delle dinamiche umane.
La drammaturgia (a cura dello stesso regista in collaborazione con Federico Bellini e Linda Dalisi) rispetta il succedersi degli eventi e i personaggi, arricchiti di metafore e input riflessivi.
La storia si sviluppa intorno a due temi portanti, le bugie e il rapporto padre/figlio.
Il Pinocchio di Latella è il confuso e impacciato tentativo del famoso burattino di affrontare la vita, con le sue paure e i suoi ostacoli, aprendosi ad un mondo terrorizzante perché sordo.
Questo Pinocchio è un abile apprendista che zittisce metaforicamente la sua coscienza ammazzando il Grillo Parlante, che scappato di casa si ritrova nel regno dei morti, ritrovandosi a dover fare i conti con la sua metà oscura (Lucignolo), con lo stordimento da rave party del Paese dei Balocchi, con la pedofilia del direttore del circo, che abusa di lui, trasformato in asino, fino a “romperlo”.
Il teatro di Antonio Latella
Antonio Latella non è “un regista come tanti”, questo si capisce anche solo sentendone parlare.
Ciò che rende particolarmente attrattive le sue opere e il suo teatro è probabilmente questo uso metaforico del teatro stesso, insieme al costante leitmotive di andare “contro” le attese rassicuranti del pubblico.
Antonio Latella è un regista che conosce il suo mezzo, che nato attore compone l’opera con un attento studio per ogni dettaglio, comprendendo e scardinando ogni opera dal suo scheletro, analizzando ogni testo, storia, personaggio e attore.
Fare teatro per me è sapere che l’unico metodo utile è trovare ogni volta il metodo adatto, quindi smontarsi e confrontarsi ancora.