Spesso capita che le persone, nel momento in cui le vediamo per la prima volta, ci trasmettano delle sensazioni, a volte potenti, che ci danno l’illusione di percepire la loro anima.
La prima volta che ho visto Dario Marconcini a teatro, insieme alla compagna di una vita Giovanna Daddi, ho proprio pensato “lui vive di teatro e il teatro vive con lui”. Il palcoscenico è il suo mondo, il teatro è casa sua, in ogni spettacolo ti senti accolto e Marconcini in vesti da Anfitrione ti porta a conoscere un nuovo ambiente che ancora non avevi scoperto.
Chi è Dario Marconcini?
Attore e regista di Pontedera (Pisa), nasce nel 1936 e inizia a recitare alle scuole superiori insieme ad altri studenti, momento che anticipa la nascita del Piccolo teatro di Pontedera. Si forma come attore attraverso differenti mondi, come il teatro universitario di Pisa, il Teatro di Livorno e la Filodrammatica di Pontedera.
Negli anni Sessanta Dario Marconcini fonda a Pontedera il Piccolo Teatro, in cui tiene anche corsi di recitazione, vivendo in quel periodo una doppia vita lavorando di giorno nella fabbrica di famiglia, la sera agli spettacoli a teatro.
È uno dei cofondatori, con Roberto Bacci, del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera (1974), un teatro alla ricerca di forme dimenticate come il teatro delle marionette napoletane o i “pazzarielli” della tradizione di strada.
Negli stessi anni fa parte di un piccolo gruppo di dilettanti ispirati dal Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Nascono in questo periodo tantissimi e differenti spettacoli: tra i più significativi possiamo citare Frammenti e Macbeth.
Insieme a Roberto Bacci contribuisce a rendere la cittadina di Pontedera un inaspettato centro del teatro del secondo Novecento; i due artisti creano un teatro povero e al tempo stesso megalomane, pensato in grande e che accoglie teatri lontani fra cui l’Odin Teatret di Eugenio Barba e successivamente il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski.
La Collaborazione con Paolo Billi
Nel 1984 Dario Marconcini, insieme a Paolo Billi, intraprende una nuova avventura: a Buti, piccolo comune in provincia di Pisa, decide di avviare una ricerca sulle possibilità di contaminare il patrimonio della tradizione popolare con alcune forme di sperimentazione teatrale contemporanee.
Dalla collaborazione con Billi nascono in questo ambito diversi spettacoli di cui Marconcini cura la messa in scena, fra questi citiamo Gerusalemme liberata (1987) con Toni Servillo, Paola Casale, Silvia Pasello e la Compagnia del Maggio, Madre courage (1988) di Brecht con Marion D’Amburgo, Massimo Salvianti che vede di nuovo la presenza della Compagnia del Maggio e Diario di un curato di campagna da Georges Bernanos,
Dal 1987 Dario Marconcini è direttore artistico del Teatro Francesco di Bartolo di Buti per il quale cura le stagioni, la rassegna “Piccoli fuochi” e le produzioni.
Citare tutte le regie o i ruoli interpretati da Dario Marconcini occuperebbe un elenco interminabile, gli spettacoli che vedono il suo nome sono tantissimi e di diversi generi, dalle reinterpretazioni del teatro dell’assurdo come Silenzio o Memory Place di Pinter, Improvviso dell’Ohio di Beckett (1999), o di grandi classici come Scene da Peer Gynt di Ibsen o Letture dall’Inferno di Dante (1995), Sulla Strada Maestra di Anton Čechov (2011).
Dario Marconcini al Cinema
Non manca la sua partecipazione al grande schermo, entrando a far parte del cast di tre film del regista Paolo Benvenuti quali Confortorio (1992), Tiburzi (1997) e Puccini e la fanciulla (2008) insieme a tre film di Jean Marie Straub e Danièle Huillèt Quei loro incontri (maggio/giugno 2005), Il Ginocchio di Artemide (maggio/giugno 2007) La madre (settembre2011). Inoltre, nel 2015 ha partecipato come interprete alle riprese film Journal d’un disparu, per la regia di Joseph Rottner.
“Minimacbeth“, Shakespeare a portata di Buti
Grazie alla vicinanza e alle esperienze universitarie ho avuto spesso modo di vedere spettacoli con in scena la coppia Daddi-Marconcini e ogni volta le alte aspettative non sono mai state deluse.
Fra tutti, due sono gli spettacoli che più hanno lasciato il segno in me. Il primo è senza dubbio Minimacbeth, visto qualche anno fa a “casa loro” nella pittoresca e accogliente cornice del Teatro Francesco di Bartolo di Buti.
Minimacbeth (2001) è una riscrittura della tragedia shakespeariana che Andrea Taddei ha creato pensando proprio alla coppia di attori-compagni. Sin dall’arrivo in sala, che sala non è, si ha l’impressione di star assistendo ad una particolare scena di vita quotidiana.
Entrando in teatro non si rimane in platea, ma si sale sul palco, all’interno d’un alto tendaggio che confina la scena che si sviluppa in lungo: al centro un grande tavolo in legno e due file di panche laterali che accolgono i non più di quaranta spettatori. Un ambiente reso ancor più familiare dalla Daddi che accompagna ogni spettatore al proprio posto.
Il testo a cura di Taddei mantiene lo sguardo disincantato di Shakespeare in una sintesi che trasforma il tragico in un grottesco che contiene in sé sia il paradosso che il cinismo, sia il dramma che la folle ironia. Macbeth diventa una storia contemporanea “immersi come siamo in questo medioevo senza tempo dove il possesso, la ferocia, l’assassinio e il sangue ci fanno giornaliera compagnia”, come afferma lo stesso Marconcini.
Sin dall’inizio dello spettacolo vengono delineate le dinamiche che prenderà la storia: dialoghi fatti di immagini e controbattute che si susseguono, fra il folle delirio di Macbeth (Dario Marconcini) e la dolce naturalezza di Lady Macbeth (Giovanna Daddi). Lei, una Lady Macbeth matura, carnefice e sensualissima, che s’infuria con il coniuge “burattino”, pazzo, fanciullo, terrorizzato dal fantasma di Banquo.
La scelta registica di ogni oggetto scenico rende il tutto molto reale; come rivela lo stesso Marconcini alla fine dello spettacolo, ogni cosa presente in scena ha una storia: dalla maschera balinese alle grosse lampade nere e quelle affascinanti statuette fatte a mano che nello spettacolo hanno rappresentato il famoso esercito di Birnan. Alcuni combattenti sono su un cavallo, altri a piedi, puro artigianato come si nota dalle 100 lire ai piedi dei pedoni per garantire stabilità.
È uno spettacolo che consiglierei a chiunque perché, come tutte le messinscene di Dario Marconcini, è un’esperienza, una catarsi teatrale che le parole non descrivono sufficientemente.
“Quasi una vita, scene dal Chissàdove“
L’altro spettacolo di Dario Marconcini che mi ha rapito il cuore ho avuto modo di vederlo in occasione del debutto al Teatro Era di Pontedera un paio di anni fa: Quasi una vita. Scene dal Chissàdove, con la regia di Roberto Bacci, che ne cura anche la drammaturgia insieme a Stefano Geraci.
L’opera prende vita dai ricordi di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, la storica coppia, nella vita, nell’intimità, nell’arte. Sessant’anni insieme, un’intera esistenza trascorsa fianco a fianco dedicata a una passione: il teatro. «Dario e Giovanna si sono offerti – afferma il regista – come amici e come colleghi per guidarci in questo viaggio che è una riflessione sull’amore, il teatro, la malattia, la vecchiaia e l’attesa della definitiva partenza per il Chissàdove».
Come per Minimacbeth la sensazione è quella di sentirsi immersi direttamente all’interno dell’opera: alcuni attori sono già in scena, fermi nelle loro posizioni, eccezion fatta per la coppia formata da Daddi e Marconcini, che vestono i panni di Anfitrioni.
Lo spettacolo è sviluppato come un racconto dei due che, come dei nonni narrerebbero il loro primo incontro ai nipoti, così lo narrano anche a noi: «Ti ricordi la prima volta in cui ci siamo visti?», ma i ricordi sono confusi, differiscono «Forse un’altra vita, forse un’altra donna».
Elemento cardine dello spettacolo, che dà valore al sottotitolo “scene dal chissàdove”, è dato da un oggetto scenico di particolare valenza e di insolita fattura: una porta con due aperture e una sola anta che ogni volta che si apre da una parte si chiude dall’altra, creando una sorta di mondo ovattato, come se fosse Morfeo a tirare le corde.
L’opera diventa metafora del teatro stesso con le sue entrate e uscite, il racconto di storie, di vite.
Sono presenti tante citazioni dal mondo del teatro “classico”, dall’Amleto di Shakespeare «Morire, dormire. Dormire, forse sognare» citato proprio in una “scena del chissàdove” in cui i personaggi stanno per abbandonarsi al sonno eterno; al Vitangelo Moscarda di Pirandello in un momento in prossimità del finale che vede Dario Marconcini che si abbandona ad una sorta di stream of consciousness interrogandosi sul perché un giorno iniziamo ad osservare il nostro viso in cerca dei segni del tempo, criticando chi, non accettandolo, si copre il viso con maschere estetiche.
In conclusione, chiunque avesse voglia di percepire cos’è la vita dedicata al teatro non dovrebbe far mancare Dario Marconcini nella lista degli spettacoli da vedere.