La storia teatrale italiana dello scorso secolo è ricca di grandi nomi che hanno portato a grandi rivoluzioni e cambiamenti nell’immaginario comune e nel metodo di approccio alla materia.
Basti pensare a nomi come Pirandello, D’Amico, Strehler, De Filippo, Dario Fo, personaggi che hanno vissuto di teatro, studiandone nuove forme e significati.
Fra questi nomi è doveroso citare quello di Orazio Costa, uno fra i maggiori esponenti della pedagogia teatrale europea che determinò il rinnovamento del concetto stesso di teatro, elevando attori e registi a “servitori dell’arte”.
Vita e formazione di Orazio Costa
Parlare di un personaggio del calibro di Orazio Costa fa venire un tremolio alle gambe simile a quello dell’esame di Stato, è come ritrovarsi difronte a un gigante nelle vesti di nanetto da giardino.
Mi cimento, con molta umiltà e timore reverenziale, a segnare dei punti a parer mio importanti nella vita di questo “nomone” teatrale.
Orazio Costa Giovangigli (nato a Roma nel 1911 e morto a Firenze nel ‘99) è stato un teatrante a “tuttotondo”: regista, insegnante, direttore artistico, pedagogo.
Fu allievo della Scuola di Recitazione Eleonora Duse che, con l’avvento della Repubblica diventerà la più che nota Accademia Nazionale d’Arte Drammatica (assumendo in seguito il nome del suo fondatore il critico teatrale Silvio D’Amico).
Per volontà di D’Amico, che al tempo teneva la cattedra di Storia del teatro, il giovane Costa si reca a Parigi dove diventa assistente di Jacques Copeau, esperienza che lo segnerà indelebilmente.
All’età di ventisei anni trascorre circa sei mesi al fianco del maestro francese nelle prove all’Accadémie Française dell’Asmodée di Mauriac; ne diventerà l’assistente al Maggio Fiorentino del 1938, per la messa in scena del Come vi garba shakespeariano.
Dall’esperienza con Copeau fece suo in particolar modo quel valore centrale dato all’attore da educare come uomo prima che come artista.
Costa si definirà sempre un “allievo spirituale” di D’Amico e Copeau, ereditando dai due grandi maestri la concezione del teatro come espressione della spiritualità del popolo e innata pulsione dell’Uomo. Basi su cui svilupperà il progetto di riforma pedagogica e teatrale.

Di ignoto – Radiocorriere n. 13, 1956, Pubblico dominio, Collegamento
Da allievo ad insegnante
Al termine dei primi corsi del suo Istituto, Silvio D’Amico crea la Compagnia dell’Accademia, segnando la prima definitiva affermazione in Italia della scuola.
Costa inaugura le rappresentazioni dell’Accademia con una versione delle laudi umbre raccolte da D’Amico (Mistero della Vita e Passione di Nostro Signore), in occasione delle celebrazioni giottesche. Questa messinscena verrà riproposta da Costa in numerose varianti, anche televisive.
Negli anni subito successivi dirige la compagnia Pagnani-Ricci-Galletti e quella di Ermete Zacconi.
Dopo l’esperienza con Copeau, Silvio D’Amico assegna a Orazio Costa la cattedra di Recitazione e successivamente quella di Regia all’Accademia. Nello stesso periodo Costa inizia a distinguersi come uno dei maggiori registi della sua generazione, portando in scena capolavori della drammaturgia mondiale e contemporanea, in alcuni casi per la prima volta in Italia (come ad esempio il Don Giovanni di Molière).
È il 1948 quando a Roma fonda il Piccolo Teatro della Città, soppresso dopo qualche anno, dopo aver contato 36 spettacoli: fra le rappresentazioni più celebri di questo teatro possiamo citare Oreste, Mirra e Agamennone di Alfieri, Sei Personaggi in cerca d’autore di Pirandello, Poverello di Copeau.
Nello stesso anno fa il suo debutto alla regia di una lirica al Teatro della Scala di Milano con Le Baccanti di Ghedini.
Dal 1963 al 1969 Costa insegnerà regia lirica al Conservatorio Santa Cecilia di Roma.
Sempre a Roma si terrà la sua seconda (e ultima) esperienza di direzione, quella del Teatro Romeo.
Questo teatro nacque con lo scopo di dotare Roma di un teatro di repertorio prevalentemente cristiano ma fu presto abbandonato da quelle stesse Istituzioni che ne avevano invitato la creazione. Strano pensare che a Orazio Costa non fu mai affidata la direzione di un Teatro Stabile.
Orazio Costa fuse la sua attività di regista con quella di pedagogo teatrale elaborando, negli anni, una metodologia di allenamento dell’attore che arriverà a essere uno fra i più illustri esiti della pedagogia teatrale italiana: il metodo Costa, o, più familiarmente, come lo chiamava con i suoi allievi, metodo mimico.
Nella sua lunghissima carriera ha avuto come allievi, tantissimi personaggi che sarebbero diventati i più grandi e illustri esponenti del teatro italiano: da Tino Buazzelli a Nino Manfredi, da Rossella Falk a Monica Vitti, da Luca Ronconi e Giancarlo Giannini a Gabriele Lavia, Massimo Foschi e tanti altri.
Nel 1990 il maestro torna in Accademia a tenere la sua ultima classe di recitazione, dopo un’assenza durata molti anni.
Orazio Costa regista
Il pensiero critico di Costa mette al centro del teatro l’attore e su questa idea imposta anche le sue regie, prediligendo spesso una scenografia nuda proprio per esaltare il lavoro e la figura dell’attore: l’attenzione e lo scopo ultimo del suo teatro diventa appunto l’interprete.
Sulla scia dell’esperienza con Copeau, negli anni ’40 Costa ideò il metodo mimetico che si basa su un istinto insito in ogni creatura, anche in alcuni animali. Quell’impulso al movimento e all’imitazione, realizzata con tutto il corpo, di ciò che viene visto all’esterno: ne è un esempio l’apprendimento stesso di una lingua.
Costa-regista approfondisce ripetutamente i suoi autori preferiti, rinnovandoli in edizioni sempre differenti.
La sua pedagogia teatrale si rese evidente negli spettacoli che lo videro alla regia: dalle messinscene degli anni ’50 come l’Aminta di Tasso, l’Ippolito e l’Ifigenia in Tauride di Euripide, e successivamente l’Ifigenia in Aulide insieme a due edizioni di L’assassino nella cattedrale di Thomas Stearns Eliot; nello stesso modo si rapporta al piccolo schermo nel 1966 con Commedia. Episodi e personaggi del Poema Dantesco (e Vita Nuova nel 1981) e con l’Adelchi manzoniano anch’esso con versione televisiva.
Attua delle soluzioni d’avanguardia nella rappresentazione di Sogno di una notte di mezza estate in una scena omologata a palestra, in cui viene palesato tutto il lavoro laboratoriale, un’anteprima delle “trasgressioni” che verranno operate in seguito da Peter Brook su questo stesso testo.
Tra le principali regie di Orazio Costa si annoverano le interpretazioni di grandi classici teatrali.

Dal teatro greco con l’Agamennone di Eschilo, l’Edipo Re di Sofocle, senza far mancare all’appello Euripide con la già nominata Ifigenia in Tauride, e anche Oreste e Ippolito insieme all’Attilio Regolo di Metastasio; possiamo citare anche la resa di La famiglia dell’Antiquario di Goldoni, con differenti messinscene shakespeariane come ad esempio Macbeth e La dodicesima notte. Non mancano traduzioni pirandelliane fra le varie anche l’incompiuto I giganti della Montagna, Enrico IV e Così è (se vi pare) insieme a Hedda Gabler, Piccolo Eyolf, Brand di Ibsen.
Fra le più memorabili regie che son rimaste nella memoria e affetto generale senza dubbio vi sono le rappresentazioni delle opere di Cechov: Ivanov, Il gabbiano, Tre sorelle e Il giardino dei ciliegi.
In questa teatrografia registica, Costa ci terrà a precisare che la sua intuizione di una scena unica è erede dei modelli greci e medievali e delle teorie di Edward Gordon Craig, da cui si differenzia in parte: l’idea di Craig è quella di un attore divenuto perfettamente azione che viene teorizzato come la Supermarionetta, un essere il cui corpo è totalmente schiavo della mente.
Negli ultimi dieci anni di attività, l’interesse di Costa mira su un teatro di Poesia, approdo naturale di una ricerca mai interrotta, come mostra la drammatizzazione di testi non teatrali come Il caso di Pietro Paolo Boscoli di Luca della Robbia il giovane o anche La vita Nuova di Dante.
Questa dedizione alla poesia ha portato alla pubblicazione di una selezione delle molte liriche composte da Costa sin dalla giovinezza: la silloge intitolata Luna di casa (1992).
Il metodo mimetico è un’immedesimazione nell’intimo con ogni realtà al di fuori di sé, sollecitando non a “fare qualcosa” ma a “essere” tutto, qualsiasi ente, visibile e invisibile, concreto e astratto: essere erba, fumo, acqua…
Il Metodo mimico
Cos’è questo metodo mimico? Questa metodologia nasce dalla teoria di Orazio Costa secondo la quale esiste negli uomini e segnatamente nei bambini un istinto che egli chiama “Istinto Mimico”.
Si tratta dell’impulso al movimento e all’imitazione, che viene resa col corpo, con mani, faccia, arti, di ciò che sta al di fuori di noi. Un esempio di questo è l’apprendimento di una lingua, che avviene tramite la ripetizione di ciò che sentiamo.
Questo metodo viene riportato sull’attore. Il metodo mimetico è un’immedesimazione nell’intimo con ogni realtà al di fuori di sé, sollecitando non a “fare qualcosa” ma a “essere” tutto, qualsiasi ente, visibile e invisibile, concreto e astratto: essere erba, fumo, acqua, etc.
In tal modo, oltre a riappropriarsi totalmente della propria capacità espressiva, con un ritorno all’ingenuità dell’infanzia, nella congiunzione tra gioco e rappresentazione, gli allievi di Orazio Costa erano stimolati a servirsi di tale formazione nella dinamica delle battute, piene di una fisicità carica di pathos e senza limiti.
Missione teatro
Le figure di Copeau e D’Amico sono fondamentali nella vita di Costa anche in vista dell’elaborazione della sua visione del teatro. I loro insegnamenti difatti lo porteranno a vedere il teatro come una sorta di “missione spirituale”, non un semplice mestiere. Così ai suoi allievi attori, insieme al metodo pratico di recitazione, proponeva l’idea di una sorta di religione laica, fondata sulla consapevolezza di sé, precorrendo i tempi e tracciando la via alla ricerca teatrale che lo seguirà.
Per delineare bene figure come Orazio Costa servirebbero molte più parole, ma quel che è certo è che non si può veramente parlare di teatro senza conoscere le teorie rivoluzionarie che grandi personaggi come lui hanno messo in atto.